La festa dei morti in Sicilia: esorcismo, esercizio di memoria
La festa dei morti, il 2 novembre, è una ricorrenza centrale all’interno del panorama simbolico, rituale e spirituale delle comunità siciliane. La celebrazione affonda le radici in epoca pre-cristiana, quando, nei primi giorni di novembre, si inaugurava la stagione della semina. È di connotazione prettamente contadina, infatti, la commemorazione dei defunti che, nel Mondo Antico, nasce come rito apotropaico di passaggio dal tempo estivo della luce al tempo invernale del buio, della incombenza della morte.
Seminare e accorciare le distanze
Sono proprio i semi il primo simbolo a cui si lega cronologicamente la commemorazione dei defunti: la simenza, infatti, rappresenta i morti che, cadendo e incastrandosi all’interno del sottosuolo, generano la vita, base solida per le generazioni future.
Un’usanza che ci è restituita direttamente dall’orizzonte precristiano e che resiste tutt’oggi in alcuni paesi delle province di Caltanissetta e di Agrigento, è quella di consumare, alla vigilia della festa dei morti – il giorno di Ognissanti – oppure il giorno stesso della commemorazione, una minestra di sementi, granaglie e legumi cotti – panspermìa – attraverso la quale si alimenta, in forma protetta, il rapporto tra vivi e defunti.
A Catania si dice che i morti, il 2 novembre, passino per le strade con u coddu di filo – con il collo sottile come un filo – a rappresentare la congiunzione sottilissima che c’è tra il mondo dei morti e quello dei vivi.
Nel messinese, invece, l’usanza maggiormente diffusa è quella di preparare un posto a tavola per il defunto, così che, entrando a casa nella notte, l’anima possa rifocillarsi attraverso l’offerta alimentare ed essere per questo riconoscente alla famiglia, ristabilendo un equilibrio che durerà fino all’anno successivo.
I doni dei morti
La totalità dei gesti, dei rituali, dei simboli che caratterizza questo giorno dell’anno in Sicilia, si riconduce alla richiesta dei vivi di protezione e vicinanza da parte dei cari defunti. Lungo il percorso celebrativo che viene attraversato nell’arco di questa giornata, sono disparate le forme di cui si arma la tradizione.
Diffusa in tutta l’isola, ad esempio, è la credenza che i morti portino dei dolci – che vengono sparsi in giro per la casa – con il valore di doni propiziatori, benedetti. È questo il caso dei pupaccena, statuette antropomorfe fatte di zucchero indurito e dipinto, che i palermitani sono solo soliti collocare all’interno dei cannistri – i cesti di vimini pieni di dolci di ogni tipo che, secondo la tradizione, vengono preparati dai morti affinché, al mattino del 2 novembre, i bambini li trovino e ne godano le prelibatezze.
Nella provincia di Siracusa, analogamente, sono famosissimi i totò – biscotti fatti con farina al cacao e ricoperti di glassa al cioccolato – e l’ossa i mottu – biscotti preparati con farina bianca e glassa di zucchero all’esterno.
Mangiare memoria, tramandare legami
In tutti i casi, l’antropomorfismo dei cibi dei morti conferisce alle pietanze un valore duplice: se da un lato i doni sono cibarie le cui sembianze umane rappresentano i defunti stessi, dall’altro il consumo che si fa di essi – prevalentemente da parte dei bambini – è un esempio di patrofagia simbolica; cibarsi di dolci antropomorfi rappresenta simbolicamente il cibarsi dei cari stessi.
La festa dei defunti, in ogni area della Sicilia, si lega a miti e comportamenti tanto antichi quanto la necessità di affrontare, esorcizzare, superare collettivamente il lutto domestico e sociale, e farne la base solida di una cosmogonia collettiva, della memoria storica di una comunità. Il 2 novembre rappresenta e celebra legami antichi, dalle radici profonde quanto gli alberi genealogici di cui c’è ancora necessità di tenere traccia.
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