Dopo oltre un anno di scioperi, marce, mobilitazioni e blocchi stradali di decine di milioni di lavoratori, i contadini indiani hanno conquistato una vittoria storica: l’abrogazione della riforma che puntava alla liberalizzazione del mercato agricolo.
Le tre leggi nere
Era il settembre 2020 quando il governo centrale guidato dal partito Bharatiya Janata del primo ministro Narendra Modi aveva emanato tre ordinanze per introdurre nella nazione riforme agricole di non poca rilevanza.
Avvenuta senza alcuna consultazione con le organizzazioni agricole e sfruttando l’emergenza pandemica, l’approvazione delle riforme secondo Modi avrebbe portato benefici per i lavoratori del comparto – più della metà della forza lavoro nazionale è impegnata nell’agricoltura – facilitando l’ingresso delle grandi società nel settore e assicurando ai contadini di vendere direttamente i loro prodotti senza alcun intermediario.
Ma i contadini indiani non hanno creduto ai proclami del governo. Secondo loro, infatti, la liberalizzazione avrebbe eliminato molte delle tutele conquistate negli anni dai contadini indiani. Nonostante il sistema attuale sia da tempo criticato per la sua inefficienza, consente ai piccoli e medi agricoltori di vendere i loro prodotti all’ingrosso a un regime di prezzi concordato e di contenere così la concorrenza delle grandi industrie agricole.
Le «tre leggi nere» di Modi prevedevano invece che i contadini e i commercianti avessero la libertà di vendere e acquistare senza vincoli di prezzo. L’abolizione del prezzo minimo sarebbe stata accompagnata dalla liberalizzazione del mercato: i contadini non avrebbero più potuto vendere soltanto sui mercati regolamentati dallo Stato, ma anche sul mercato libero con il coinvolgimento diretto dei privati.
Le organizzazioni sindacali dei braccianti hanno visto nella riforma il massacro dei lavoratori da parte dei grandi gruppi della distribuzione privata. L’86% dei contadini non possiede più di due ettari di terra e non avrebbe avuto modo di contrattare il prezzo di vendita direttamente con i compratori. Inoltre, le leggi proponevano una soluzione universale a problemi che richiederebbero invece interventi specifici: nel territorio indiano coesistono contesti ad alta produzione agricola e altri dove l’arretratezza dei sistemi di produzione e la corruzione diffusa pesano sull’efficienza del settore in generale.
I frutti della rivolta
Sin dalla loro approvazione, i contadini indiani hanno contestato i tre provvedimenti sia a livello locale sia in dimostrazioni di portata maggiore, nonostante i blocchi imposti dalla pandemia. Il 20 novembre dell’anno scorso centinaia di migliaia di contadini si sono accampati fuori dalla capitale Nuova Delhi per protestare contro le «tre leggi nere», promettendo di non andarsene fino a quando il governo non avesse accettato di ritirare le leggi senza alcuna condizione.
Durante l’anno di protesta, le contestazioni hanno ricevuto l’attenzione dei media internazionali. Il governo Modi ha cercato numerose volte di contrastare la forza dei contadini: oltre a minimizzare la violenta repressione da parte della polizia durante le proteste, ha cercato più volte di screditare il movimento, additandolo come in combutta con nuclei indipendentisti all’estero, e i suoi leader, presi di mira come estremisti e terroristi.
Di fronte alla mobilitazione permanente, il governo di Modi si è trovato costretto a cedere. «Oggi porgo le mie scuse ai miei connazionali, e voglio dire con cuore sincero e puro che, forse, deve esserci stato un deficit nei nostri sforzi, per cui non siamo stati in grado di spiegare chiaramente la verità ad alcuni contadini» – ha dichiarato – «Non siamo riusciti a convincere i manifestanti delle buone ragioni delle tre leggi sull’agricoltura e quindi inizieremo l’iter costituzionale per eliminarle».
Un esempio per le lotte di tutto il mondo
L’ultimo anno di lotta dei contadini indiani ha rivelato la tendenza alla centralizzazione del potere decisionale del governo indiano, la sua devozione alle grandi imprese e la forte repressione che è disposto a mettere in atto. Quest’anno è stato infatti contraddistinto da minacce, omicidi e una forte repressione da parte del partito conservatore BJP. Più di 750 scioperanti hanno perso la vita.
Ma i contadini hanno vinto, uniti e organizzati sotto la bandiera del Comitato di coordinamento pan–indiano di lotta dei contadini AIKSCC. Quelli che hanno preso parte alle proteste ora festeggiano nelle campagne, dove vivono ancora più della metà degli indiani, assicurando di rimanere vigili fino alla conferma tramite atti ufficiali degli annunci fatti, che dovrebbe avvenire «entro la fine della sessione invernale del Parlamento».
La battaglia del movimento dei contadini non è stata solo un grande esempio di lotta per il sub-continente indiano, ma per tutto il mondo, contro l’avanzare del sistema neoliberista.
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