Il governo Musumeci ha istituito la Giornata in memoria delle vittime in miniera. Il 12 novembre di ogni anno sarà dedicato al ricordo delle vittime della tragedia della miniera di zolfo di Gessolungo, in provincia di Caltanissetta, dove nel 1881 un’esplosione provocò la morte di 65 lavoratori, tra cui 19 carusi.
Cu scinni vivu, mortu si nn’acchjana
Nella Sicilia del XIX secolo, moltissime famiglie si trovavano costrette a mandare i figli a lavorare nelle miniere di zolfo. Il cosiddetto sistema di soccorso morto, un compenso di 150 lire dato d’anticipo alle famiglie che i giovani dovevano ripagare con una paga giornaliera misera, rendevano il debito impossibile da estinguersi.
I carusi, affidati ai picconieri, trascorrevano anche 16 ore al giorno all’interno dei cunicoli della miniera. Costretti a lavorare a temperature elevatissime, i ragazzini, per lo più minorenni, dell’entroterra siciliano trasportavano frammenti di roccia circa il doppio più pesanti di loro, da cui si estraeva la cosiddetta gialla superiore, ovvero lo zolfo.
Frequente era il rischio di esplosione; il gas grisou presente nelle miniere, se combinato con l’aria, dà origine a una miscela altamente esplosiva. La necessità di utilizzare le lampade ad acetilene provocava la detonazione nelle anguste gallerie della miniera.
La letteratura, nei decenni, si è fatta pregna di racconti di denuncia; Verga, Pirandello, Sciascia ci hanno raccontato le condizioni lavorative della nostra terra e la necessità di riscatto degli sfruttati.
Le condizioni dei lavoratori delle zolfare siciliane sono state determinanti per la coscienza delle lotte popolari e politiche in Sicilia. Movimenti operai, di natura anarchica e socialista, sono il prodotto di una travolgente forza di ribellione, nata da quei forti disagi dettati dalle evidenti condizioni disumane cui erano costretti a lavorare i minatori siciliani.
Cancianu li sunatura ma a musica sempri a stissa è
Un sistema che basa tutta la propria forza sullo sfruttamento e sulla produzione non avrà mai alcun interesse per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Il ricordo degli zolfatari ci impone una riflessione. Lo sfruttamento in Sicilia, coi secoli, ha solo cambiato forma. Ha perso la sua virulenza più apparente, per mascherarsi dietro sfumature, più subdole e altrettanto violente.
Così, mentre ieri i carusi siciliani si trovavano costretti a rischiare la propria vita per poche lire al giorno, oggi i lavoratori e le lavoratrici sono posti davanti alle nuove forme di sfruttamento che il mondo del lavoro moderno prevede.
Di fronte alle parole pregne di atteggiamenti paternalistici e consolatori nei confronti di chi «sorregge questo paese», si assiste contemporaneamente alla riduzione dei salari, al peggioramento dei contratti di lavoro, così come alla sempre più massiccia stipulazione di contratti a tempo determinato. Ancora oggi con una media di uno ogni 3 giorni avvengono incidenti anche mortali sui posti di lavoro. In soli tre mesi in Sicilia si contano 5.624 denunce di incidenti sul lavoro. Nella stessa Sicilia in cui il lavoro in nero, la disoccupazione e i lavori stagionali caratterizzano il panorama lavorativo.
Da secoli la nostra isola viene utilizzata come bacino di estrazione di risorse umane e materiali. E il suo ruolo, nei piani dello Stato italiano, è rimasto tutt’oggi lo stesso. Chi nell’Ottocento non emigrava, finiva nelle miniere a estrarre zolfo. Oggi lo zolfo è passato di moda, ma si pensa a estrarre gas e petrolio. E chi non decide di lasciare la Sicilia, si ritrova davanti a un panorama lavorativo desolante.
Prima ‘i parrari mastica i paroli
Commemorare la giornata del 12 novembre allora appare controverso, in un contesto in cui ancora oggi in Sicilia si assiste al perpetuo calpestio della dignità delle persone, in cui lo sfruttamento e i ricatti sono eretti a principi legislativi.
Musumeci dovrebbe pensarci due volte prima di affermare che l’unico modo di porre riparo a quei tragici eventi è il ricordo e la preghiera, accusando l’indifferenza dei governanti di quel tempo. Se il ricordo deve servire a qualcosa, è a modificare il presente. Se il dito va puntato contro qualcuno, è verso chi ancora oggi permette che gli stessi meccanismi di sfruttamento si applichino sulla pelle dei siciliani. Va puntato verso lo Stato italiano, così come va puntato contro i tirapiedi dello Stato alla Regione, di cui Musumeci è a capo.
Delle parole di compianto i lavoratori e le lavoratrici siciliane se ne faranno ben poco, fino a quando non vedranno migliorare le loro condizioni di vita.
Ascolta un canto dei minatori di zolfo siciliani:
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