Dopo mesi di siccità permanente, in cui i siciliani sono stati costretti a scegliere se lavarsi la faccia o le ascelle, e in cui gli animali facevano la fila per potersi abbeverare nelle poche pozzanghere non ancora prosciugate, per un breve momento in Sicilia è ritornata la pioggia: e l’ha fatto in grande stile. Il 26 agosto scorso un fiume di pioggia oleosa è caduto sul cielo di Melilli, in provincia di Siracusa, permettendo alla popolazione locale di assistere a un evento ben più simile a una piaga d’Egitto che a un qualsiasi acquazzone estivo.
La ragione? Lo “sfiaccolamento” di una torcia, causato da un guasto a un impianto di smaltimento della raffineria Isab ha causato il rilascio di vapori tossici. Non è di certo la prima volta che si verificano eventi analoghi negli impianti di raffineria del “quadrilatero della morte” Augustra-Priolo-Melilli-Siracusa, che contiene il maggiore polo petrolchimico d’Europa. D’altronde, non sono di certo i leader politici regionali, nazionali, o i CEO di Eni, Isab, Sonatrach e compagnia cantante a farsi il bagno nell’acqua inquinata, con malattie e danni annessi.
Nei giorni successivi alla pioggia acida, l’Arpa ha comunicato i risultati delle rilevazioni relative alle sostanze tossiche emesse nell’aria. Dalle analisi è risultato che alle ore 09:00 di quel giornoerano presenti NMHC (idrocarburi non-metanici)nella stazione SR-Belvedere pari a 580 µg/m3, registrando in quel giorno numerosi picchi superiori al valore soglia consentito (200 μg/m3). Tali sostanze sono dannose per la salute e potenzialmente cancerogene, e si vanno ad aggiungere alla sfilza di inquinanti che ogni giorno vengono rilasciati nell’ambiente.
Questo è solo l’ultimo caso di una lunga serie di scandali legati all’assenza di garanzie sulla sicurezza negli impianti siracusani.Nel 2022, l’impianto di depurazione dell’Ias venne posto sotto sequestro dalla procura per «disastro ambientale aggravato riguardante l’inquinamento atmosferico e marino tutt’ora in corso di consumazione, nonché altri reati connessi all’illegittimità dei titoli autorizzatori ritenuti non conformi a legge, non più efficaci da oltre un decennio e solo parzialmente rispettati».
La pessima gestione dell’impianto ha portato all’immissione – sulla base delle indagini dei periti della procura – di 77 tonnellate di sostanze nocive l’anno – tra cui il benzene, sostanza altamente cancerogena – e di 2500 tonnellate di idrocarburi rilasciati nel Mediterraneo tra il 2016 e il 2020.
Una vicenda che si lega al recente sfiaccolamento, a testimonianza di come il corretto smaltimento delle sostanze nocive e, pertanto, la salute delle persone che vivono nei pressi della raffineria, non sia esattamente la priorità delle multinazionali che vi operano, col beneplacito della politica, che ormai da decenni ha individuato in quest’area, attiva sin dagli anni Quaranta, il principale polo di raffinazione dello Stato italiano.
Tale condizione ha ricevuto un salto di qualità dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, che ha costretto l’Unione Europea a trovare alternative agli idrocarburi russi. Pertanto, l’UE ha ben pensato di ripiegare sulla Sicilia – vedasi il piano Mattei, che porta il gas algerino fino a Mazara del Vallo – come snodo fondamentale per il rifornimento energetico del continente.
Mentre la Regione Siciliana e lo Stato promuovono l’estrattivismo e il colonialismo energetico delle multinazionali nella nostra terra, spacciandolo come mezzo per creare lavoro e sviluppo, nella realtà dei fatti poli petrolchimici, rigassificatori, inceneritori e chi più ne ha più ne metta distruggono e fanno ammalare la nostra terra e i suoi abitanti, boicottano il settore agricolo e disincentivano il turismo, eliminando ben più posti di lavoro di quelli che creano, contribuendo ad aggravare il fenomeno dell’emigrazione da quelle aree nelle quali – probabilmente qualcuno ci spera – se continua così, resterà solo il deserto.