• Tagli all’FFO: le Università siciliane verso una crisi senza precedenti.

    Tagli all’FFO: le Università siciliane verso una crisi senza precedenti.

    Nell’ultimo ventennio, il sistema di finanziamento delle Università italiane ha subito cambiamenti significativi, con un forte impatto sugli atenei siciliani. Al centro di queste trasformazioni c’è il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), l’insieme dei fondi statali assegnati alle università per coprire tutte le spese. Oggi questi fondi vengono distribuiti principalmente in base ai fondi storicamente ricevuti – secondo il parametro della spesa storica – e attraverso criteri di merito ed efficienza. La recente riduzione complessiva del fondo, pari a 173 milioni di euro, ha portato a un taglio di 35 milioni destinati alle Università di Catania, Palermo e Messina: un colpo difficile da assorbire per gli atenei siciliani, già segnati da carenze strutturali nell’erogazione dei servizi agli studenti.

    Come dicevamo, l’FFO, è oggi distribuito seguendo un modello che premia l’efficienza e i risultati, a scapito dell’uguaglianza dell’offerta formativa su tutto il territorio nazionale. Il sistema si basa principalmente su tre criteri. Il primo è una stima dei costi per studente, che include le spese per il personale docente e tecnico-amministrativo e i costi di gestione, che, insieme alla spesa storica, costituiscono la quota base, pari a 4,3 miliardi di euro per l’anno accademico in corso. Questo parametro tiene conto delle differenze economiche e territoriali, ma non sempre riesce a compensare le sfide delle Università in contesti meno favoriti.
    Il secondo criterio si basa su una porzione di finanziamento assegnata in base alle performance didattiche e di ricerca, la cosiddetta “quota premiale”. Questo criterio mira a incentivare l’efficienza degli atenei, ma di fatto favorisce le Università con maggiori risorse e posizionate in contesti di vantaggio, lasciando ancora più indietro gli atenei già in difficoltà.
    Infine, esistono gli interventi perequativi, stanziati per le Università in situazioni economiche svantaggiate, che dovrebbero bilanciare le disparità regionali. Tuttavia, la loro portata – pari a 136 milioni di euro nel 2024, a fronte di una quota premiale dal valore di 2,4 miliardi di euro – è insufficiente per rispondere alle problematiche di lungo termine delle Università del Sud e delle isole. Questi atenei, non riuscendo a risalire la china nella gerarchia accademica italiana, sono intrappolati da anni in un circolo vizioso, in cui la riduzione dei fondi si traduce in un calo della qualità dei servizi offerti e del numero di nuove immatricolazioni.

    Il taglio generale dell’FFO voluto dal Governo Meloni ha, dunque, colpito duramente gli atenei dell’isola, costringendoli a confrontarsi con un ridimensionamento che compromette i servizi e la capacità operativa delle Università. L’Università di Catania perderà 12,5 milioni di euro, Palermo 12 milioni e Messina 10,5 milioni: risorse essenziali per sostenere nuove assunzioni, avanzamenti di carriera e il mantenimento delle infrastrutture. La riduzione dei fondi rallenterà l’ingresso di nuovi ricercatori, limitando lo sviluppo della ricerca e riducendo il potenziale di innovazione. Anche la progressione di carriera per il personale attualmente in servizio sarà messa a rischio, rendendo difficile trattenere talenti e personale qualificato.

    A Palermo, in particolare, gli effetti del sottofinanziamento sono evidenti da anni. Molte strutture sono fatiscenti e necessitano di interventi urgenti, ma i fondi limitati ostacolano il rinnovamento di spazi didattici, biblioteche e laboratori. La mancanza di spazi adeguati per lo studio e di aule sufficienti a far fronte all’aumento delle immatricolazioni rappresenta una sfida che rende difficile per gli studenti trovare un ambiente idoneo alla formazione. Ma la situazione ha un ulteriore risvolto negativo. Il nostro ateneo, infatti, ha ottenuto ottimi risultati in termini di iscrizioni. Nell’anno accademico 2023/24, secondo i dati dell’Università, le nuove immatricolazioni ai corsi di laurea triennale sono state pari a 9.102, a cui si aggiungono 1.751 immatricolazioni nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, per un totale di 10.853 nuovi studenti. L’incremento in termini percentuali è dell’1,7%, pari a un +5,5% rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia.
    Tali numeri vanno in controtendenza rispetto alla media nazionale, che ha registrato una diminuzione media del 3% delle nuove immatricolazioni, e si contrappongono a quanto sta accadendo nel Sud e nelle isole, dove tutti gli altri mega atenei hanno subito un calo degli iscritti rispetto all’anno accademico 2021/22. Nonostante questi ottimi risultati, l’Università non è stata premiata per il suo impegno, e la limitata capacità di spesa dell’ateneo avrà conseguenze che l’intera comunità studentesca dovrà affrontare nei prossimi anni.

    Questo iniquo divario tra gli atenei italiani, creato e scientificamente perseguito dai governi che si sono susseguiti negli anni, si traduce in una disparità di attrattività, che spinge molti giovani siciliani a scegliere di studiare in atenei del Centro-Nord. Non a caso, nonostante la piccola ripresa registrata su Palermo, negli ultimi 15 anni il numero complessivo di studenti negli atenei dell’isola è crollato. Così, mentre la Sicilia perde giovani menti, gli studenti fuorisede devono sobbarcarsi i costi del trasferimento e dell’alto costo della vita delle regioni dell’Italia Settentrionale.

    Per affrontare questa crisi è necessaria una revisione della strategia di finanziamento universitario nazionale. L’attuale sistema, che incentiva il merito e la competitività, non si pone come obiettivo quello di garantire una crescita equilibrata per tutti. Sarebbe vitale intervenire per aumentare non solo i fondi destinati all’Università e alla Ricerca in generale – già ben al di sotto della media europea – ma in particolare quelli destinati al Sud e alle isole, accompagnando questo sforzo con piani di recupero per le infrastrutture. Se il sistema di finanziamento non verrà rivisto, le condizioni delle Università siciliane non potranno che peggiorare ulteriormente, con un impatto negativo non solo sul mondo accademico, ma anche sull’intera società e sull’economia della regione.

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