L’emergenza idrica in Sicilia peggiora di giorno in giorno; report, bollettini ed esperti concordano sulla gravità della situazione. Christian Mulder, professore di Ecologia e cambiamenti climatici presso l’Università di Catania, intervistato durante un recente reportage di «The Guardian», ha stimato che entro il 2030 un terzo dell’isola si trasformerà in un deserto equiparabile alla Libia o alla Tunisia.
Sono tre i dati che preoccupano maggiormente: nel 2021, la Sicilia ha registrato una temperatura record di 48,8°C; le precipitazioni sono diminuite del 40% dal 2003; nei primi sei mesi del 2023, sono caduti solo 150 mm di pioggia. Il lago Rosamarina, il più grande bacino artificiale dell’isola, situato nei pressi di Caccamo, si è ormai prosciugato. Anche il famoso Lago di Pergusa, è ormai un deserto. Segnali di una preoccupante siccità che sembra ormai irreversibile e che minaccia l’agricoltura, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità rurali, la biodiversità e la qualità della vita dei siciliani.
Le cause della crisi idrica in Sicilia
Sebbene i cambiamenti climatici amplifichino la gravità e la violenza di questo fenomeno, puntare il dito esclusivamente sul riscaldamento globale non basta a spiegare la tragedia che si sta abbattendo sull’isola. Inoltre, così facendo, si rischia di nascondere le responsabilità criminali di chi dovrebbe gestire e amministrare le risorse idriche.
La Sicilia si trova in una bolla climatica che ogni 10-11 anni la espone a un paio d’anni di siccità; condizione pienamente nota, che dovrebbe spingere i governi regionali e nazionali a intervenire in tempo, programmando una gestione preventiva del fenomeno, evitando il disastro e la corsa ai ripari solo quando l’emergenza è ormai dilagata.
Appurato il fatto che negli ultimi anni la nostra isola si sia dovuta confrontare con uno stato di persistente siccità, non si spiega come mai in buona parte dell’isola (chiedere ad un qualsiasi agrigentino per maggiori informazioni) il razionamento dell’acqua durante tutto l’anno sia una costante che accompagna i siciliani da generazioni, i quali disconosco il significato dell’espressione “acqua corrente”.
Se qualcuno si fosse mai chiesto se le cisterne chiaramente visibili nei tetti di mezza Sicilia fossero lì a scopo decorativo o per nostalgica affezione della popolazione, l’ultimo rapporto dell’ISTAT aiuterà a chiarire il quadro.
L’istituto, infatti, riconferma il primato dell’isola per perdite idriche e malagestione della rete di distribuzione; in un contesto nazionale che comunque spicca per criminosa incuranza e inazione. Nel 2022 l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno.
Nello stesso anno, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8%) e la Sicilia (51,6%) e Palermo è nei i primi posti tra i capoluoghi di regione.
Parallelamente, secondo i dati della Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche, dei 26 invasi in Sicilia controllati direttamente dalla Regione, tre risultano fuori esercizio, cinque sono sottoposti a limitazioni per ragioni di sicurezza e 10 attendono ancora il collaudo. Nel complesso, quasi il 70% presenta problemi di funzionamento, con soltanto otto dighe che contengono la quantità d’acqua per la quale sono state progettate. Viceversa, è curioso constatare come, dei 13 invasi in mano ai privati del settore elettrico e petrolchimico, soltanto due siano sottoposti a limitazioni, mentre gli altri funzionano a pieno regime: una sfortunata coincidenza.
I danni su agricoltura e allevamento
Gli invasi dell’isola sono attualmente al 25% della loro capienza totale, un dato allarmante se confrontato con il 50% di capienza registrato lo scorso anno. Questo deficit idrico ha un impatto devastante su agricoltura e allevamento, pilastri dell’economia siciliana. Secondo quanto dichiarato dal presidente della Confcooperative Fedagripesca, Carlo Piccinini: «la siccità estrema che colpisce in questi giorni la Sicilia sta arrecando gravi danni al comparto agricolo, stimati già in 2,7 miliardi di euro, pari a un quarto del valore della produzione agricola regionale».
I terreni sono aridi, la disponibilità d’acqua è sempre più limitata per irrigare i campi; gli allevatori devono affrontare la disperata mancanza di acqua potabile per i loro animali. Se a ciò si aggiunge l’emergenza incendi, si comprende bene come a rischio ci la sopravvivenza stessa di interi centri rurali. A giugno 2024 è stata registrata una media di soli 1,8 giorni di pioggia, con una precipitazione mensile di appena 8 mm. Questo livello di pioggia è insufficiente per fornire apporti idrici significativi, ricordando pericolosamente la grande siccità del 2002.
Secondo il Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS), in alcune aree dell’isola mancano oltre 300 mm di pioggia rispetto alla norma degli ultimi 12 mesi. In particolare, la precipitazione di giugno 2024, di 8 mm, è stata inferiore alla media del periodo 2003-2022, pari a 11 mm. In diverse stazioni della Sicilia sud-orientale non è stata registrata nemmeno una goccia di pioggia.
Nel frattempo, i siciliani si devono confrontare con una penuria d’acqua ormai ingestibile: gli animali bevono fango per non morire di sete, le città e i paesi ricevono acqua corrente solo ogni due settimane, mentre l’acqua negli invasi sta lentamente diminuendo, senza che, apparentemente, vi sia la possibilità di invertire la rotta.
Entro il mese di luglio, secondo le previsioni, la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente.
E le istituzioni che fanno?
Come da prassi, quando in Sicilia si verifica un evento dannoso per la vita e la salute di tutta la popolazione, il pensiero di politici e giornalisti va immediatamente ai turisti. Tra le tante dichiarazioni di paura e preoccupazione sui possibili danni al settore turistico derivati dall’assenza d’acqua – perché i siciliani possono pure non lavarsi e i laghi prosciugarsi, ma sia mai che le piscine degli Hotel restino a secco – svetta quella del Ministro del Turismo.
Daniela Santanchè, infatti, a proposito della tremenda siccità che sta vessando la Sicilia ha affermato: «mi auguro che non abbia impatto sul turismo, che riusciamo a risolvere le criticità che vengono date dagli eventi atmosferici, ma dobbiamo anche dire che il 2023 è stato un anno record per il turismo, e anche i dati del 2024 vedono un aumento sul 2023». Se si guarda, invece, agli interventi concreti per risolvere la situazione, sul piatto sembrano esserci solo 92 milioni di euro in arrivo da Roma, facenti parte di un piano di finanziamento di 1,6 miliardi complessivi per 49 interventi per la realizzazione di infrastrutture idriche prioritarie. Risorse non sufficienti e soprattutto in arrivo fuori tempo massimo.
Lo stanziamento di questi fondi non sarà in grado di intervenire nel breve periodo per dare sollievo nei mesi più critici a una popolazione ormai alla canna del gas e, di certo, non sarà sufficiente per colmare le lacune strutturali che caratterizzano il sistema idrico siciliano.
Focolai di protesta nell’isola
Sul piano mobilitativo, nelle ultime settimane si sta assistendo alla nascita di focolai di protesta nell’isola. In effetti, il problema della mancanza d’acqua era già uno dei punti cardine della mobilitazione degli agricoltori e allevatori che ha attraversato la Sicilia nei primi mesi dell’anno; ma le manifestazioni di piazza sul tema si sono intensificate a partire dalla fine di maggio.
Le proteste a Licata – dove nelle periferie l’acqua non è arrivata per 28 giorni consecutivi – ad Agrigento, passando per Ribera e Canicattì, confermano che quella dell’agrigentino è la provincia più sofferente per via della crisi idrica. Ma segnali di mobilitazione arrivano pure da Trapani e da Palermo, con lavoratori del settore agricolo e cittadini che si organizzano in comitati spontanei.
Sulle forme della protesta, vale la pena citare quanto accaduto ad Alcamo, dove lunedì primo luglio i cittadini hanno bloccato il passaggio delle autobotti per diverse ore; e a Canicattì, dove 500 persone si sono riversate in strada a seguito di un consiglio comunale aperto, impedendo anche loro la circolazione degli autobottisti. Le rivendicazioni della popolazione, se da un lato mirano a ottenere misure di sostegno immediate per far fronte all’emergenza nel breve periodo, dall’altro puntano i riflettori sull’impossibilità di sostenere che la crisi idrica sia esclusivamente figlia della siccità; meccanismo utile solo a deresponsabilizzare la politica dalle sue negligenze.
Da qui le numerose richieste a lungo raggio, da parte dei comitati, di costruire e rimettere in funzione pozzi, dissalatori, depuratori, dighe in giro per tutta l’isola, oltre che di mettere mano (dopo decenni di abbandono) alle reti idriche siciliane, ormai ben più simili ad uno scolapasta che a impianti di distribuzione dell’acqua.
Costruire un fronte comune, capace di unire le numerose forme di protesta che si sono date in giro per la Sicilia nelle ultime settimane, è la sfida per costringere la politica regionale e nazionale a intervenire per salvare la Sicilia dalla desertificazione totale.
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