275 milioni di euro: questa è la cifra che il Governo nazionale, nel tentativo di far quadrare i conti e rispettare le scadenze per la realizzazione dei progetti previsti dal Pnrr, ha deciso di tagliare dal raddoppio ferroviario Palermo-Catania per dirottarla sull’Alta Velocità Napoli-Bari.
Sicilia depredata? Ordinaria amministrazione
Una notizia che non giunge affatto inaspettata. Già da tempo era nell’aria come il Governo Meloni fosse intenzionato a sottrarre fondi dall’isola verso progetti più impellenti e di più rapida realizzazione.
Per giustificare la scelta di tagliare centinaia di milioni dal settore ferroviario siciliano, rimasto sostanzialmente uguale a sé stesso dalla seconda metà dell’Ottocento, è bastato sottolineare che «Sono emerse criticità archeologiche, geologiche e di natura autorizzativa che non consentono il rispetto dei tempi previsti», e tante grazie.
E adesso? Ancora una volta i siciliani impareranno a fare di necessità virtù, dislocando da un cantiere all’altro i fondi che il Governo di Roma ci ha caritatevolmente lasciato, cercando di portare tutti i lavori a termine.
Infatti, 787 milioni verranno complessivamente sottratti dalla Lercara-Caltanissetta Xirbi e dalla Caltanissetta Xirbi-Nuova Enna.
Di questi, 512 milioni verranno direzionati sulla Catania-Palermo e su altri due lotti che verranno (forse) realizzati in seguito.
I 275 milioni mancanti all’appello “tornano” a Roma senza nemmeno essere mai passati dalla Sicilia, per essere investiti in progetti che si è certi di portare a compimento entro il 2026.
Non è colpa del governo, è colpa dei governi
In questo il Presidente Meloni, al netto delle polemiche e delle reciproche attribuzioni di responsabilità che hanno caratterizzato 10 mesi di scontri a distanza con l’ex Premier Draghi in merito alla pessima gestione dei fondi del Pnrr e dei ritardi nella realizzazione degli obiettivi previsti, si muove in perfetta continuità con chi l’ha preceduta.
Quando bisogna salvare baracca e burattini per evitare di rispedire milioni in Europa, entrambi sono concordi sul fatto che sia meglio non rischiare. È per questo motivo che, degli 8 miliardi destinati alla Sicilia per la realizzazione dei progetti previsti dal Pnrr, 6,5 miliardi provengono in realtà dal PNC (Piano Nazionale Complementare), fondi messi a disposizione dallo Stato italiano a partire dal 2021 (quando l’inquilino di Palazzo Chigi era Mario Draghi) in appoggio a quelli europei, ma non soggetti ai vincoli di quest’ultimi, quindi più facili da ridirezionare o ritirare.
Non è prudente stanziare miliardi di fondi del Pnrr in Sicilia, dove la burocrazia si muove con una lentezza non in grado di stare al passo con i ritmi serrati delle scadenze dell’UE, perché non c’è la volontà politica di fare investimenti strutturali.
Pertanto, se bisogna tagliare milioni da qualche parte, meglio prenderli dalla Sicilia, il cui impoverimento mette d’accordo tutti ai piani alti.
Ferrovie? In Sicilia non servono
In definitiva, centinaia di milioni sono stati ritirati da un settore, come quello ferroviario, in cui la Sicilia avrebbe un disperato bisogno di investimenti strutturali. Basti pensare che, ad oggi, il numero di corse giornaliero in Sicilia è meno di un quarto di quello della Lombardia, mentre in tutta l’isola sono a disposizione 122 treni, contro i 521 della già citata regione del Nord Italia.
L’intera isola è attraversata da soli 1500 km di ferrovia, di cui quasi 1300 km a binario unico, e quasi la metà non sono elettrificati.
Numeri che tracciano un quadro desolante, che testimoniano il divario tra l’isola e i centri produttivi e commerciali dello Stato ma che, allo stesso tempo, non sorprendono affatto, proprio perché in linea con la visione di uno Stato tagliato in due.
D’altronde, i treni permettono di spostare persone e merci, garantiscono rapidi collegamenti per spostarsi da una parte all’altra della regione, dai centri occupazionali alle aree residenziali e viceversa.
Nulla di tutto ciò è previsto che accada in Sicilia, dove non serve il treno per andare a lavoro perché il lavoro non c’è, dove sulle strade colabrodo non si muovono grandi capitali ma solo lo stretto indispensabile a far campare la popolazione che sull’isola ancora ci risiede.
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