L’8 maggio scorso è stato sottoscritto, nel Castello di Sperlinga, un accordo per costituire un hub logistico addestrativo dell’Esercito nei territori di Gangi, Nicosia e Sperlinga al fine di consentire, nei prossimi trent’anni, lo svolgimento di attività logistiche ed esercitazioni tattiche militari. A sottoscrivere il patto i Sindaci di Gangi, Giuseppe Ferrarello, Nicosia, Luigi Bonelli e Sperlinga, Giuseppe Cuccì, per il ministero della Difesa (Stato maggiore dell’Esercito italiano) il generale di Divisione e comandante militare dell’Esercito in Sicilia, Maurizio Angelo Scardino e il generale della Brigata “Aosta” Giuseppe Taffuri. Già dal 19 giugno, e per una settimana, un centinaio di militari saranno presenti a Sperlinga per una ricognizione dei luoghi.
E chi ne sapeva niente?
Le informazioni sull’accordo sono, come sempre in questi casi, poche e introvabili. Il coinvolgimento degli abitanti nella decisione, pari a zero. Si può, però, prendere spunto dalle altre vicende siciliane per risalire ai processi e immaginare le conseguenze. È avvenuto a Niscemi, Sigonella, Punta Bianca, Punta Izzo, Lampedusa, Favignana, Pantelleria e per tutte le altre aree della Sicilia sottoposte a occupazione militare per via della presenza di basi militari – anche Usa e Nato – o di esercitazioni. Dalla notte al giorno amministratori locali, enti regionali e varie istituzioni civili e militari firmano accordi – in alcuni casi, con gli stessi tempi, addirittura sequestrano aree e montano cantieri – e la notizia viene diffusa a cose fatte, appresa dai siciliani più attenti in trafiletti di giornale. Come fossero novità da poco.
Lo stesso modus operandi è stato utilizzato anche nell’ultimo caso che coinvolge le Madonie e una parte dell’ennese: si scopre da un comunicato inviato all’Ansa che le amministrazioni comunali si sono impegnate a rendere disponibili immobili e territori individuati, offrendo massima collaborazione e intercedendo, laddove necessario, con aziende e privati proprietari, ma anche con la Regione siciliana e ogni altro ente al fine di agevolare e rendere possibili le attività logistiche e addestrative e la costituzione degli stessi hub militari.
Il silenzio che precede e segue l’accordo verrà giustificato come sempre dalla natura delicata, di interesse nazionale, che porta con sé la materia militare. E quando si tratta di interessi superiori, ignorare il parere della plebe è sacrosanto!
Per chiarire i dubbi sul parere favorevole citiamo, al momento, solo una delibera di giunta del Comune di Gangi risalente al 24 aprile scorso, in cui si legge: «i rappresentanti dei Comuni di Gangi (PA), Sperlinga (EN) e Nicosia (EN), nella figura dei Sindaci pro- tempore: hanno manifestato l’esigenza di contare sulla costante presenza di truppe in addestramento per una maggiore presenza dello Stato nei territori che può comportare anche il miglioramento delle condizioni economico-finanziarie dei territori amministrati».
Quali opportunità?
La striminzita giustificazione ci sembra utile solo a infittire le perplessità intorno all’accordo. Perché ci sarebbe l’esigenza di contare su una maggiore presenza dello Stato italiano? E perché mai la sua presenza dovrebbe passare dalla costante presenza dell’Esercito? Allo Stato italiano dovremmo chiedere presenza, semmai, con investimenti sulla sanità, sulle infrastrutture, sulle scuole, sui settori strategici della nostra economia; per fermare il terribile fenomeno dello spopolamento che sta colpendo l’entroterra siciliano con numeri senza precedenti. Non è neppure una questione di ordine pubblico. I militari fanno i militari, si addestrano per prepararsi alle campagne di guerra – non sono mica poliziotti.
Si comprende ancora meno l’opportunità di «miglioramento delle condizioni economico-finanziarie dei territori amministrati» che starebbe dietro l’accordo. Forse il pagamento dei terreni che verranno espropriati ai proprietari? Forse l’eventualità che i militari possano consumare nei bar e nei ristoranti locali? Che vantaggi sarebbero, se paragonati agli ingenti danni che provocherebbe?
L’addestramento militare sottrae vaste aree di terra e mare, crea emissioni, interruzione dei paesaggi e degli habitat terrestri e marini e crea inquinamento chimico e acustico dall’uso di armi, aerei e veicoli; nonché il rilascio di metalli pesanti (cancerogeni) nei terreni e nelle falde acquifere per la degradazione di munizioni e proiettili. I veicoli militari consumano combustibili fossili a un tasso estremamente elevato.
C’è poi il danno all’agricoltura locale, un settore trainante in queste aree, nonostante le difficoltà, che punta sulla genuinità dei prodotti e sulla salubrità dell’ambiente e dei terreni. Una garanzia che certamente collima con la presenza di bossoli nel suolo, con i riversamenti nelle falde acquifere, con gli spari e le granate.
In ultimo, e non per importanza, c’è da ricordare che l’area coinvolta deve parte del proprio sviluppo economico al turismo, principalmente naturalistico e legato alla bellezza dei borghi – Gangi su tutti, premiato come più bello d’Italia. Diventare un borgo militarizzato non ci pare il miglior modo di fare pubblicità a questi luoghi, amati perché immersi nella natura incontaminata.
Scongiurare il deserto
Ovunque si sia registrata in Sicilia, e non solo, la presenza militare ci sembra che i benefici siano stati ben poco. Arrivano, sequestrano aree importanti alla libera fruizione pubblica o alla coltivazione e al pascolo, tagliano alberi, inquinano terra, aria e falde e dopo decenni vanno serenamente via, senza neppure preoccuparsi di effettuare le bonifiche dei luoghi. Lo abbiamo visto a Punta Bianca, dove la costa di Drasy è stata occupata per esercitazioni militari per 64 anni. Una riserva naturale – solo recentemente riconosciuta tale – utilizzata come bersaglio per cannoni e carri armati della Nato. La loro presenza ha creato il deserto intorno, interrotto solo dalle battaglie dei cittadini e delle associazioni locali per riappropriarsi dell’area sottratta.
Non è difficile immaginare la stessa sorte per Gangi, Sperlinga e Nicosia, per tutta l’area delle Madonie e dell’ennese. Una sorte, quella di diventare deserti, già parte del futuro di questi luoghi. Secondo uno studio effettuato su dati Istat, i paesi delle Madonie, dal 2010 agli inizi del 2023, hanno perso più di 7.392 abitanti – come se Gangi per intero fosse scomparso.
Non è forse su questo, sulla necessità di invertire la tendenza, che i nostri amministratori locali e le istituzioni tutte dovrebbero concentrarsi?
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