Si concludeva ieri la tre giorni organizzata dal Laboratorio Sociale Malaspina per festeggiare il primo anno da quando, il 5 gennaio 2022, furono riaperte le porte dell’ex asilo di Via Arrigo Boito 7 a Palermo
L’occupazione era arrivata per rispondere alla necessità di costruire spazi di lotta, di autogestione e di socialità alternativa all’interno del quartiere Malaspina, una zona residenziale in cui insistono anche diverse scuole ma dove quasi nessun servizio, parco pubblico o spazio di aggregazione viene garantito agli abitanti.
Una storia di occupazioni e riappropriazioni dirette
Dopo la chiusura dell’asilo, avvenuta più di 20 anni fa, lo spazio è stato utilizzato solo grazie a forme di occupazione e uso diretto da parte dei cittadini. All’inizio degli anni 2000 era conosciuto in città come Laboratorio Zeta, un’occupazione contemporanea al fiorire delle esperienze dei centri sociali a Palermo.
Le istituzioni comunali, in particolare la proprietà dello IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), durante lo sgombero del 2010 dello ZetaLab, avevano annunciato fantomatiche associazioni pronte a riaprire lo spazio e offrire, entro un mese dallo sgombero, servizi al quartiere. Nel gennaio del 2020 il direttore generale dello Iacp aveva annunciato che l’ex asilo sarebbe stato affidato a un’associazione che si occupa di recupero scolastico e attività ludiche. Dopo quasi due anni l’immobile era ancora vuoto, sigillato e deserto; nessun servizio per il quartiere era stato attivato.
E qui la storia si ripete; ancora una volta solo attraverso la pratica dell’occupazione le porte sono state riaperte al quartiere. Oggi ci ritroviamo a festeggiare un anno di esistenza, un anno in cui migliaia di persone hanno frequentato il Laboratorio Sociale, che è stato restituito agli abitanti e agli studenti che frequentano le diverse scuole intorno e che oggi hanno finalmente un luogo in cui studiare, organizzare iniziative e momenti di lotta, socializzare.
Un laboratorio di lotte
Ma non solo, perché il Laboratorio Sociale Malaspina non è solo uno spazio fisico, ma è un collettivo politico animato da giovani e adulti che hanno scelto di sperimentare le proprie capacità e conoscenze e di metterle al servizio della collettività, di apprenderne di nuove, di mettersi in gioco e superare i propri limiti senza chiudersi nella bolla dello “spazio sicuro” del privato, dentro il quale rifugiarsi, ma trovando nella dimensione collettiva e di lotta la propria scelta di militanza e di vita. Il luogo in questo anno è diventato un punto di riferimento sia per chi organizza che per chi partecipa alle attività di doposcuola, sportive, sociali e culturali che si offrono al quartiere.
Ma è stato anche il centro da cui sono partite le mobilitazioni che hanno riguardato il mondo della scuola e dell’università, il mondo del lavoro e quello cittadino, come nel caso delle manifestazioni contro la guerra, per il clima, contro l’alternanza scuola-lavoro; le lotte popolari per il diritto al lavoro o al reddito di cittadinanza, per l’emancipazione delle donne, per il diritto a restare nella nostra terra per la nostra gioventù; per la difesa e il rilancio del mondo dell’agricoltura, per la tutela delle tradizioni popolari e della lingua siciliana; per combattere a fianco della Sicilia tutta verso un’unico obbiettivo: l’indipendenza dallo Stato italiano. Tutte queste rivendicazioni sono partite e passate, nell’arco di un anno, dal Laboratorio Sociale Malaspina.
Un laboratorio di lotte, dunque, così come un punto di riferimento per le famiglie del quartiere, per gli studenti, per i lavoratori e i disoccupati. Una dimostrazione di come sia possibile andare oltre la ghettizzazione a cui facilmente vengono relegati i “centri sociali” dalla politica dei partiti istituzionali e non cedere alla tentazione di diventare semplici “divertifici” alternativi, tollerati e previsti nella metropoli capitalista.
Un luogo e un collettivo che non si propongono di sopperire blandamente alle mancanze delle istituzioni, offrendo servizi per mettere una pezza sulle carenze del sistema, ma che tentano di esacerbare lo scontro con la politica e con quel sistema che priva le persone di spazi e servizi necessari per la loro vita e la loro crescita.
Un primo anno che ha dimostrato come sia ancora possibile fare politica senza scendere a compromessi con il potere o con le mode del momento; fare politica non per mera autoconservazione, con l’obbiettivo di dimostrare a se stessi di essere vivi mettendo bandierine su spazi e manifestazioni; si tratta piuttosto di stare al fianco della gente, eliminando ogni personalismo, con l’idea di essere disposti a modificare collettivamente se stessi e l’ambiente che ci circonda, riuscendo a organizzare, a direzionare e a determinare il risvolto di ogni malcontento che attraversa la nostra isola.
Lascia un commento