Un’elaborazione effettuata dall’Ufficio Studi CGIA su dati INPS e ISTAT relativi all’inizio del 2022 attesta come in Italia, ad oggi, vi siano complessivamente più pensionati che lavoratori. Le pensioni erogate sono 22 milioni 759 mila contro 22 milioni 554 mila occupati, con un saldo negativo di – 205mila.
Ma è sviscerando i dati regione per regione che ci si rende conto del quadro reale della situazione economica e sociale all’interno dello Stato italiano. Infatti, mentre la Lombardia, che si aggiudica il primo posto, ha registrato un saldo più che positivo di + 658 mila (vale a dire 3,7 milioni di pensionati e 4,3 milioni di occupati); la Sicilia, ultima degli ultimi, sconta un saldo negativo di – 340mila (1,65 milioni di pensionati contro appena 1,3 milioni di lavoratori).
Sicilia sempre più anziana
Lo studio, effettuato regione per regione, dimostra come vi siano fortissime disparità tra il Nord Italia, il Sud e le Isole, in particolar modo la Sicilia. A chiudere l’anno con più occupati che pensionati – vale a dire con un’economia vivace e propulsiva – sono solo regioni del Nord e Lazio. Campania, Calabria e Puglia fanno invece compagnia a Sardegna e Sicilia negli ultimi posti, con un tessuto economico evidentemente in difficoltà e un saldo negativo che supera le – 200mila unità. La Sicilia arriva ultima degli ultimi, dimostrando che una disparità esiste anche tra il Sud e l’Isola, l’unica in cui la differenza tra numero di pensionati e numero di lavoratori supera di gran lunga le – 300 mila unità.
Nella ricerca delle cause va sicuramente segnalata la forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando la nostra terra. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Ma non è solo una questione di nascite. In Sicilia, il numero di giovani diminuisce anche a causa dell’emigrazione forzata. Solo negli ultimi 10 anni, come riportano i dati ISTAT, ben 220 mila giovani siciliani non si trovano più in Sicilia, andati via per studiare o lavorare al Nord Italia o all’estero, in cerca di un futuro migliore e di maggiori certezze occupazionali.
Una terra con una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici. Il circuito che si crea è vizioso. Un tessuto produttivo poco sviluppato spinge i giovani a emigrare e disincentiva le famiglie a scegliere di avere figli; meno gente in età lavorativa e più pensionati significa condannare questa terra a un futuro di impoverimento e depressione economica progressiva, allontanando sempre di più la possibilità che si inverta la tendenza.
Il numero di occupati in Sicilia (1,3 milioni su circa 5 milioni di abitanti) è così basso anche a causa della carenza di offerta di lavoro. Un’analisi effettuata da Openpolis riporta come la Sicilia sia la regione d’Europa con il più basso tasso d’occupazione registrato nel 2021, pari al 41,1%, a fronte di una media nazionale ed europea rispettivamente del 58,2% e del 68,4% nello stesso anno. Meno della metà dei siciliani in età lavorativa ha quindi un impiego.
Un tasso di occupazione così basso genera un rapporto di forza tra i dipendenti e i datori di lavoro del tutto sbilanciato a favore di quest’ultimi. Le centinaia di migliaia di disoccupati sparsi per l’isola, infatti, si trovano costretti a scegliere se andare a cercare un lavoro fuori dall’Isola o restare accettando i pochi impieghi disponibili che, vista la carenza di offerta rispetto alla domanda, sono proposti a condizioni che rasentano la schiavitù. Ore e ore di lavoro in cambio di un salario spesso misero, come dimostra lo scarto di quasi 5.000€ tra il reddito medio dichiarato dai siciliani nel 2021 (16.980 euro) e la media nazionale (21.570 euro), secondo la dichiarazione dei redditi per il 2021.
Ciò chiarisce perché da gennaio a novembre 2022 – come attestano i dati diffusi dall’Inps – siano stati ben 283mila 061 i nuclei familiari residenti nell’isola a percepire il reddito di cittadinanza per almeno una mensilità, perché non riescono a trovare lavoro. Molti di loro hanno un’età più prossima alla pensione che spendibile nel mondo del lavoro. Con una popolazione che invecchia c’è infatti anche un problema a incrociare la domanda e la, seppur scarsa, offerta di lavoro.
Un futuro diverso è possibile
La mancanza di lavoro in Sicilia è un fatto strutturale, figlia della mancanza di una strategia di sviluppo per questa terra, perché i governi centrali che si sono susseguiti nel tempo non hanno mai messo in campo un piano di investimenti mirato a colmare il divario con il Nord. La condizione di sottosviluppo è stata ed è funzionale alla crescita economica delle regioni del Nord Italia, individuate come epicentro industriale e finanziario dello Stato italiano. La mancanza di lavoro in Sicilia in quasi tutti i settori produttivi crea sacche di disoccupati con competenze e titoli di studio di ogni tipo; manodopera più che richiesta dalle aziende del Nord, sempre ben liete di accogliere gente alla disperata ricerca di possibilità occupazionali che nella propria terra gli sono negate.
Se si vuole invertire la tendenza, se si vuole evitare che il popolo siciliano diventi ogni anno sempre più povero e vecchio, fino a quando in questa terra non resterà altro che miseria e desolazione, è necessario che i siciliani si impegnino a restare per costruire un futuro diverso per la Sicilia. Nel pretendere piani di investimento per creare occupazione, far crescere le aspettative di vita e mettere le famiglie nelle condizioni di scegliere di mettere al mondo e far crescere i propri figli qui, dobbiamo avere chiaro che, forse solo lottando, riusciremo a ottenere qualcosa; ma che un futuro radicalmente diverso è possibile solo nella rottura con lo Stato italiano.
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