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  • Elezioni e fuori sede. Diritto di voto o diritto a restare?

    Elezioni e fuori sede. Diritto di voto o diritto a restare?
    Le politiche del 25 settembre si avvicinano e, tra promesse elettorali improbabili e velenose polemiche tra i candidati, un argomento sembra tenere banco in questi giorni: la negazione del diritto di voto per studenti e lavoratori fuori sede.
    Un tema che tocca tantissimi siciliani, soprattutto i più giovani, su cui crediamo sia necessario aprire una riflessione che vada oltre l’assenza di una modalità di voto per i fuorisede, guardando alla radice del problema.

    Votare costa

    Per la legge, i cittadini che si ritrovano in questa condizione dovrebbero affrontare un viaggio verso il proprio comune di residenza per poter esercitare un loro diritto. Spesso (per non dire sempre) sborsando cifre considerevoli, che mediamente si aggirano sui 150 euro andata e ritorno, ma che, in casi come quello siciliano, possono arrivare anche a toccare i 300 euro per tratta.
    Un problema, peraltro, che coinvolge un numero non indifferente di giovani. Sono 4,9 milioni gli studenti e i lavoratori che vivono fuori dal proprio comune di residenza, ovvero il 10,5% degli elettori. Quasi 2 milioni impiegherebbero più di 4 ore tra andata e ritorno per raggiungere il proprio seggio. Ed è quasi lapalissiano sottolineare che oltre i 3/4 (1,6 milioni, per l’esattezza) sono giovani residenti nelle regioni del Mezzogiorno e delle Isole.
    Come a ogni tornata elettorale, anche quest’anno diversi partiti politici e associazioni studentesche sono intenti a denunciare le difficoltà cui vanno incontro studenti e lavoratori fuori sede, sollecitando le istituzioni a trovare una soluzione adeguata a questo disagio.

    Fermare l’emigrazione è un punto in qualche programma elettorale? 

    Ci sarebbe tuttavia da chiedersi se non sia opportuno occuparsi anche della causa che sta a monte di tale problematica.
    È normale che un cittadino debba spendere cifre esose semplicemente per tornare nella propria città di origine?
    Ed è normale che un giovane siciliano sia constretto a trasferirsi lontano da casa per poter ricevere un’istruzione universitaria adeguata o un lavoro dignitoso?
    L’emigrazione universitaria, così come quella lavorativa, è un problema strutturale che affligge l’Italia. Ma è un problema solo per chi la vive: mentre migliaia di giovani, dopo i 18 anni, lasciano la loro terra con la consapevolezza (e l’amarezza) di non farvi più ritorno se non per le vacanze, dall’altra parte dell’Italia li aspettano università, grandi imprese, aziende, pronte ad accoglierli con gioia.
    Ma se gli studenti lasciano le loro città di origine per andare a studiare fuori non è solo per amor di scoprire il mondo. È perché il sistema universitario italiano è strutturato in modo da rendere le università del Centro-Nord più appetibili rispetto a quelle della Sicilia, incentivando le prime tramite una buona dose di finanziamenti che, di fatto, vengono sottratti alle università siciliane. Basterebbe, quanto meno per arginare il fenomeno, riequilibrare i rapporti, dotando le università che si trovano alle nostre latitudini di laboratori, spazi sicuri, programmi e corsi di studio all’avanguardia.
    Certo, ridurre l’emigrazione universitaria a una questione di finanziamenti statali non è del tutto possibile. È chiaro che le università del Centro-Nord godano di migliori possibilità di costruire rete con il tessuto produttivo del territorio, che vengano sostenute da Regioni più ricche. Eppure, non ci sembra un caso che mentre gli atenei meridionali hanno subito tagli addirittura del 30% (come nel caso dell’Università di Messina) dalla riforma Gelmini ad oggi, il numero di studenti iscritti sia al contempo calato in maniera notevole.

    Cosa vale veramente la pena

    Nonostante il quadro evidentemente desolante, la modifica dei criteri di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario non rientra nel programma elettorale di nessun partito candidato alle elezioni di settembre. Come, per quanto il problema del voto fuorisede sia sulla bocca di tutti, non ci sembra che nessuno si carichi della responsabilità di dire che la vera soluzione dovrebbe essere fermare l’emigrazione forzata.
    E allora perché sbracciarsi per trovare un modo di regalare a questi signori – i cui partiti, con le loro politiche, ci condannano a emigrare – il nostro voto? Perché pagare bus, aerei, lunghi viaggi in macchina, per assecondare questo sistema?
    Forse dovremmo sbracciarci per altro. Per combattere proprio chi supplica i fuorisede di fare lo sforzo di tornare a casa e votare, ma appena sale al potere diventa il primo sostenitore di tutte quelle politiche che ci costringono a fare i bagagli e lasciare la Sicilia.

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