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  • Di Beni Culturali e mali alla cultura – a due anni dall’investitura dell’assessore leghista

    Di Beni Culturali e mali alla cultura – a due anni dall’investitura dell’assessore leghista
    Quando, il 18 maggio di due anni fa, il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci ha nominato Alberto Samonà assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, le aspettative erano già parecchio basse. A mettere all’erta i siciliani nei confronti del neo-assessore era stato il testimone che l’ex dirigente del Fronte della Gioventù ha dovuto accogliere: era ancora vivo, infatti, dopo oltre un anno di gestione ad interim dell’assessorato da parte di Musumeci, il ricordo di Sebastiano Tusa, la cui scomparsa non aveva lasciato vuota soltanto la poltrona.
    O forse, sarà stato perché, a spalancare le porte al giornalista palermitano per la scalata politica dentro il palazzo della Regione, è stata la Lega per Salvini Premier che, nel settembre del 2018, ha nominato Samonà coordinatore del partito della Consulta sulla Cultura per la Sicilia Occidentale.

    L’autonomia in materia di Beni Culturali

    La lettera s) del comma 2 dell’art.117 della Costituzione italiana che riserva la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” allo Stato, nella Regione Siciliana non si applica.
    Con riferimento alla tutela, l’articolo 8 del Codice Beni Culturali tratta delle competenze delle Regioni e province ad autonomia speciale disponendo che nelle materie disciplinate dal codice restano ferme le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione.
    In Sicilia, lo Statuto speciale attribuisce alla Regione Siciliana competenze esclusive in materia di “tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche” (art. 14 lett. n) dello Statuto) e di “musei, biblioteche, accademie” (art. 14, lett. r) dello Statuto).  Da anni la Regione Siciliana esercita, pertanto, tali funzioni di tutela in luogo del Ministero.

    La soppressione delle soprintendenze

    Che cosa se n’è fatto Samonà di tutta questa agibilità politica?
    Come i suoi predecessori, nulla che fosse funzionale non soltanto a una corretta gestione, ma anche a un tempestivo recupero del patrimonio materiale e immateriale siciliano, che riparasse ai danni accumulati negli anni.
    Quello che voleva essere il processo di azzeramento delle competenze delle distinte discipline dei beni culturali (antropologica, archeologica, architettonica, archivistica, bibliotecaria, naturalistica, storico artistica), già avviato da anni nella Regione Siciliana, è stato portato a compimento dalla Delibera n. 108 proprio il 10 marzo scorso, con la soppressione delle Soprintendenze. Con una semplice delibera, la Giunta regionale ha approvato lo schema di decreto presidenziale, recante la “Rimodulazione degli assetti organizzativi dei Dipartimenti regionali”.
    L’esecutivo regionale ha soppresso illegittimamente le sezioni tecnico-scientifiche antropologica, archeologica, architettonico-urbanistica, storico-artistica, ambientale, bibliografica, previste dall’art. 12 della L.R. 80/1977 ancora vigente, e i rispettivi direttori che, ai sensi della L.R. 116/1980, hanno la competenza di emanare gli atti di tutela relativi ai beni culturali per cui sono specializzati.
    Qual è stata l’inaccettabile giustificazione di questa scelta da parte del governo regionale – forse una delle peggiori decisioni prese in materia di tutela del patrimonio culturale siciliano?  Che una “riorganizzazione” con un obiettivo di riduzione delle postazioni dirigenziali regionali fosse assolutamente necessaria, allo scopo di un presunto risparmio di spesa.

    Questo governo non se ne risparmia una

    I costi a cui far fronte, in un’isola costellata di siti di interesse culturale e paesaggistico, oltre che storico e archeologico, sono indubbiamente tanti, e il governo Musumeci, che va evidentemente al risparmio sugli ambiti sbagliati, ha ben pensato di sgravarsi di alcune responsabilità.
    Risale a meno di un anno fa la notizia della messa all’asta della Scala dei Turchi, bellissima falesia di marna nei pressi di Realmonte (AG). Il proprietario delle particelle catastali della Scala, Ferdinando Sciabarrà, ha infatti dichiarato: ‹‹Non è bastato dire alla Regione, al Comune di Realmonte e agli enti pubblici interessati “Ve la regaliamo”. Perché sono arrivate solo promesse. Senza nulla fare. E, dopo un anno, preoccupati da una stagione che si annuncia come un assalto ai gradoni della Scala, la mettiamo all’asta, facendo appello per primo a Elon Musk perché se la compri lui, la protegga e la usi al meglio…››.
    Il tratto di costa dove insiste la Scala dei Turchi è, infatti, ad alto rischio idrogeologico e necessita di azioni tempestive per la sicurezza delle persone e per la salvaguardia dell’ambiente, perché il suo aspetto originario possa essere mantenuto o comunque non determinato dalle attività umane – come i flussi turistici incessanti e mal gestiti che approdano su questo versante dell’isola e che hanno già molto influito sulla morfologia della nostra candidata UNESCO.
    Ma la vicenda che riguarda la Scala dei Turchi è soltanto uno degli esempi di deresponsabilizzazione e auto-assoluzione da parte del governo Musumeci e del suo assessore leghista.
    La Targa Florio, la gara di velocità più antica al mondo, tutta siciliana e motivo di prestigio e fama per la nostra isola a livello internazionale, è stata venduta dall’Automobile Club di Palermo, storico proprietario, all’Automobile Club d’Italia. La trattativa per la vendita del marchio è cominciata nel 2017 e tra le ipotesi c’era anche l’acquisizione del brand da parte della Regione siciliana; ma la trattativa si è conclusa senza che il governo Musumeci esercitasse il diritto di prelazione sullo storico marchio, facendo perdere ai siciliani questo bene immateriale di inestimabile valore.
    La preoccupazione più grande è che, in mano all’ACI Italia, la cursa possa approdare anche nel continente, coinvolgendo località italiane – molto lontane dal circuito storico e dai contesti in cui la Targa è nata – svuotandola del suo portato storico e culturale originario e, di fatto, snaturandola. Se questo accadrà, la colpa non sarà che del governo Musumeci e del suo assessore leghista.
    Insomma, se i pregiudizi dei siciliani nei confronti di Samonà erano consistenti, ad affermarne la fondatezza ci hanno pensato, nel corso di questi anni, i fatti. Eppure, aprendo i giornali e accendendo la televisione, la salvaguardia dei beni culturali – unicamente votata al consumo turistico – sembrerebbe essere in primo piano nelle agende del governo siciliano. Nell’isola che rappresenta uno dei luoghi con la maggior concentrazione di patrimonio archeologico al mondo, lo stato in cui riversano i nostri siti narra di un’amministrazione inadatta alla gestione e alla valorizzazione dei tesori.
    Non basta montare dei tornelli agli ingressi dei parchi archeologici e dei musei, non basta dividere le proprie responsabilità con le aziende private, non basta parlare di turismo e di b&b per dire di aver fatto il possibile. Occorrerebbe che la politica siciliana si facesse carico della messa in sicurezza dei luoghi di interesse storico-artistico, dei siti archeologici; di stanziare i fondi per la ricerca antropologica, archeologica; di re-instaurare le soprintendenze e moltiplicarle, destinare loro maggiori finanziamenti; di pensare alla gestione e alla valorizzazione dei nostri beni culturali come fondamentali per la Sicilia e per i siciliani non soltanto perché fonte di guadagno attraverso il turismo predatorio che il nostro sistema economico prevede e incentiva, ma perché portatori dell’identità storica, artistica, naturalistica della nostra isola.
    Ma il governo Musumeci, perfettamente in linea con i governi che lo hanno preceduto, non si cura di questi aspetti. Perché? Per ignoranza? Forse, ma non ci basta. Per mancanza di un interesse profondo verso un settore che non prevede profitti nell’immediato? Sicuramente, ma nemmeno questo basta.
    Il punto è che valorizzare il nostro patrimonio materiale e immateriale prevede la messa in campo di fondi, esperti e specialisti, creazione di posti di lavoro, recupero, ricostruzione e rinnovamento di un’identificazione con la nostra cultura, che ha delle radici ben precise e profonde, e un attivo impegno verso la creazione di nuovi ambienti culturali.
    Allora, forse, è perché questi governi che si alternano dentro il Palazzo dei Normanni non sono gli eredi della cultura della nostra terra – resi inadeguati dall’appartenenza a una classe politica italiana che non fa i nostri interessi e riduce la nostra identità a folclore e ricorrenze sparute e distribuite in maniera disomogenea nei calendari che scandiscono gli anni che passano?
    Decisamente, sicuramente sì.

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