Era l’inizio del 2020 quando il Primo Ministro britannico Boris Johnson rilanciava il progetto che prevede la costruzione di un ponte tra Scozia e Irlanda del Nord. Come per il Ponte sullo Stretto di Messina, il piano presentava però enormi ostacoli: dalle sfide ingegneristiche, all’impatto ambientale, alle spese stratosferiche. Lungi dall’essere un’opera necessaria, con il ponte si voleva forzare il legame di Scozia e Irlanda con la Gran Bretagna.
Il Boris’ Bridge
Il progetto del ponte che collega i due territori è stato in realtà proposto più di 10 anni fa dal think tank Center for Cross Border Studies, per permettere un collegamento infrastrutturale tra le due isole. Il progetto è stato presentato come un utile snodo per i collegamenti ferroviari e un modo per ridurre la pressione sui servizi aerei.
Le opzioni in ballo erano sette: alcune prevedevano la costruzione di un ponte, altre di un tunnel. Tra le più papabili, due corridoi prevedevano un collegamento di più di 35 km via mare, tra Stranraer e Larne e tra Stranraer e Bangor.
Sin da subito il progetto è stato additato come esoso e altamente complesso, in quanto il mare irlandese non risulta favorevole alla costruzione di una infrastruttura così importante.
Il 22 novembre 2021, arriva la notizia che i piani dell’Irish Sea Bridge sono stati cestinati. Nonostante i tentativi di Boris Johnson, sostenitore numero uno del progetto, l’esperto di trasporti Sir Peter Hendy, a cui è stato chiesto dal governo di esaminare i possibili collegamenti, ha concluso che il progetto non era attualmente praticabile.
La raccomandazione del rapporto sulla fattibilità dell’opera – intitolato A Fixed Link between Great Britain and Northern Ireland: Technical Feasibility e pubblicato questa settimana – è di non far nessun lavoro per questo progetto. Secondo la ricerca, ci vorrebbero quasi 30 anni per completare la pianificazione, la progettazione e i processi parlamentari e legali e la costruzione.
Un progetto da buttare
Boris Johnson aveva precedentemente affermato che il collegamento fisso tra le due zone sarebbe costato circa 15 miliardi di sterline. Tuttavia, il rapporto di fattibilità ha rivelato quanto fosse lontana questa stima, portando invece il costo della costruzione di un ponte a 335 miliardi di sterline e quello di un tunnel a 209 miliardi di sterline. La stima della Union Connectivity Review per il ponte è più di 22 volte superiore a quanto affermato da Boris Johnson, per il tunnel quasi 14 volte superiore. I costi sarebbero dunque impossibili da giustificare.
Tra i motivi della cancellazione, ai costi esorbitanti si aggiungono le sfide ingegneristiche dettate dalla costruzione di uno dei ponti più lunghi del mondo.
Inoltre, ricorda il rapporto, il mare d’Irlanda presenta molte sfide, non ultima la Dyke di Beaufort, una profonda fossa sottomarina lunga 45 km e larga, al suo punto massimo, 3,5km che costeggia la Rhins of Galloway, la penisola dove è sita Stranraer. La fossa interna al Canale del Nord è conosciuta anche come Trincea di Beaufort, e avrebbe dovuto essere attentamente esaminata a causa del milione di tonnellate di munizioni inesplose scaricate lì. Dalla Prima guerra mondiale agli anni ’70, si stima che circa un milione di tonnellate di ordigni inesplosi potrebbe essere stato scaricato nella fossa di Beaufort.
Inoltre, le frequenti tempeste e i forti venti non sono adatte per un ponte. Praticamente, il Boris’ bridge resterebbe chiuso per diversi mesi all’anno a causa del maltempo.
Paese che vai, ponte che trovi
Jonhson è certamente l’uomo dei progetti ambiziosi, controversi e fallimentari riguardanti i ponti: quando era sindaco di Londra ha proposto il Garden Bridge sul Tamigi, che sarebbe costato 53 milioni di sterline e che non è mai stato realizzato. È anche stato colui che ha inaugurato la funivia da 60 milioni di sterline sopra il Tamigi, gestita da Emirates, che ha soli quattro utenti regolari oltre ai turisti.
Le raccomandazioni finali del rapporto della Union Connectivity Review dicono di concentrarsi a migliorare i collegamenti esistenti all’interno del Regno Unito piuttosto che costruire castelli in aria. Zone come il Galles, certe parti della Scozia e della Cornovaglia hanno infatti collegamenti ferroviari molto antiquati o praticamente inesistenti.
Il rilancio dell’idea dell’Irish Sea Bridge va considerato nelle sue implicazioni politiche: non una necessità infrastrutturale, ma una concessione agli unionisti dell’Irlanda del Nord. Dopo il dilagare delle preoccupazioni per i nuovi accordi doganali tra il territorio e il resto dell’Europa nell’ambito della Brexit, che fanno temere un rafforzamento dei legami commerciali con l’Irlanda e l’Europa, gli unionisti sono entrati in conflitto con lo stesso governo inglese. Rilanciare il legame stabile tra Scozia e Irlanda del Nord, regioni che entrambe rivendicano l’indipendenza, renderebbe l’unione tra le due regioni e il Regno Unito ancora più forte.
Il progetto presenta un incredibile numero di similitudini con il suo analogo siciliano Ponte sullo Stretto di Messina. Dall’incredibile spesa economica all’infattibilità ingegneristica dell’opera, fino all’impatto ambientale che implicherebbe, il ponte si rivela per quello che è: un modo per forzare il legame tra l’Irlanda del Nord, la Scozia e la Gran Bretagna, un’ennesima forma di speculazione economica e un fantasioso specchietto per le allodole per distrarre la popolazione dalle problematiche reali dell’isola.
L’Irlanda del Nord e la Scozia, così come la Sicilia, non hanno bisogno di ponti che le uniscano alla madrepatria, ma di indipendenza – per questo, sanno riconoscere in progetti del genere pericoli e ostacoli per la loro libertà.
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