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  • Aggressioni negli ospedali siciliani: sintomi del disastro della sanità

    Aggressioni negli ospedali siciliani: sintomi del disastro della sanità
    Nelle ultime settimane i giornali non hanno fatto che parlare dei diversi casi di violenza verificatisi all’interno degli ospedali siciliani.
    Proprio due notti fa, all’ospedale Villa Sofia di Palermo, i due figli di un anziano pazienze, in coda al pronto soccorso insieme ad altre 30 persone in attesa di essere visitate dai due soli medici di turno, hanno aggredito un medico di 39 anni, prima di essere fermati e denunciati dalla polizia.
    Questo è solo l’ultimo caso di una serie di momenti di tensione sfociati in violenza a cadenza praticamente quotidiana, come quello avvenuto pochi giorni fa al triage del Civico di Palermo o lo scorso 6 maggio nell’area di emergenza del Cannizzaro di Catania.
    Sindacati e dirigenza ospedaliera, nel tentativo di arginare il fenomeno, propongono come unica via l’aumento dei servizi di sicurezza e, addirittura, l’istituzione di presidi stabili da parte della polizia all’interno delle strutture. Questa posizione ignora – o sceglie consapevolmente di ignorare – le ragioni strutturali che portano all’inevitabile innesco di ripetuti episodi di violenza all’interno degli ospedali siciliani.
    La violenza andrebbe ricercata non solo nei gesti esasperati, ma anche in quello che i siciliani sono costretti a vivere ogni volta che necessitano di cure. I mostruosi tagli alla sanità effettuati dallo Stato italiano negli ultimi decenni – ricaduti principalmente sui centri sanitari del meridione e delle isole – hanno portato il sistema sanitario siciliano al collasso. Le strutture sono vecchie, spesso fatiscenti, di dimensioni troppo ridotte per poter reggere la mole di persone che necessitano di cure, dovendo fare a meno anche di diversi reparti che, ormai da più di due anni, sono destinati esclusivamente ai pazienti Covid. Purtroppo, quando un paziente varca la soglia di un ospedale non si sente finalmente al sicuro, ma continua a temere per la propria vita. E fa bene: quante volte abbiamo sentito di gente morta dentro le ambulanze in coda fuori dagli ospedali o in attesa di un soccorso che non è arrivato in tempo?
    E quanto è peggio, è che la rabbia e la frustrazione dei pazienti si riversa sul personale sanitario, colpevole solo di stare facendo il proprio lavoro in condizioni estreme. Non è una novità che il personale sia numericamente insufficiente ad ogni livello.
    Nello stesso ospedale di Villa Sofia, dove nei mesi si sono verificati vari episodi di violenza, ci sono soltanto 14 medici d’emergenza rispetto ai 25 che sarebbero, purtroppo solo in teoria, previsti e necessari. Questo fa sì che i membri del personale siano costretti a dover svolgere doppi o tripli turni, nel tentativo di colmare le voragini create da scelte politiche del tutto disinteressate alla salute dei cittadini.
    Così, negli ospedali siciliani ci si ritrova ad avere medici e infermieri stressati, sottoposti a turni di lavoro massacranti, limitati nel corretto svolgimento del loro lavoro nel tentativo di assistere una quantità di pazienti numericamente superiori alle proprie forze, mentre le persone si ritrovano a dover attendere giornate intere per una visita, o ad essere ammassate per giorni su barelle abbandonate nei corridoi.
    Se si vogliono diminuire i casi di aggressione negli ospedali non si può immaginare la soluzione con la repressione della violenza quando questa si manifesta. Andrebbero, invece, eliminate le condizioni che causano malessere, disagio e senso di abbandono in pazienti e personale.
    Ovviamente tutto ciò non è nei programmi di uno Stato a cui non frega nulla delle condizioni in cui versano gli ospedali siciliani, ma che anzi incentiva la migrazione sanitaria e la medicina privata. Così, chi può permetterselo si affida alle cliniche private, o va a curarsi fuori, come i 7000 siciliani ed oltre che nel 2021 hanno scelto di recarsi in centri sanitari fuori dall’isola. Invece, i tantissimi siciliani che non sono abbastanza ricchi da poter ambire al diritto alla salute, non possono far altro mettersi in fondo alle lunghissime code che si creano nei nostri ospedali, sperando che nulla di brutto accada nell’attesa.

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