Il cosiddetto “Salva Sicilia” approdato in commissione bilancio all’ARS rappresenta l’ennesimo esempio della svendita degli interessi dei siciliani ad opera di una classe dirigente del tutto piegata a logiche accentratrici e coloniali.
Protagonista della vicenda è il nuovo governo regionale guidato da Renato Schifani, che si appresta a ripercorrere le orme dei suoi predecessori (come dimenticare, per esempio, i famigerati “patti scellerati” firmati dalla Giunta Crocetta?).
In cosa consiste la manovra?
Nella sostanza, con il “Salva Sicilia” la Regione rinuncerebbe definitivamente ad una cifra di circa 9 miliardi di euro, accumulatasi nel corso di un arco di tempo che va dal 2007 al 2021, mai conferita dallo Stato. Tutto ciò in cambio di cosa? Di pochi spiccioli subito disponibili, circa 200 milioni di euro che dovrebbero consentire a Schifani di “azzizzare” il traballante bilancio regionale e garantire un po’ di respiro al suo governo.
Ma da cosa deriva questo “credito” della Sicilia nei confronti dello Stato Italiano a cui Schifani si appresta a rinunciare? Per comprenderlo occorre fare un passo indietro, risalendo addirittura al 2006, e ricostruire il riparto delle competenze tra Stato e Regione Siciliana in materia di sanità.
La sanità in Sicilia rientra nel novero delle materie a legislazione concorrente, cioè quelle nelle quali l’ARS condivide la potestà legislativa con il Parlamento italiano.
A tal proposito, l’Art. 17 dello statuto siciliano recita: «Entro i limiti dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi» in una serie di materie tra cui rientrano l’igiene, la sanità pubblica e l’assistenza sanitaria.
La condivisione della competenza legislativa in ambito sanitario ha ovviamente una ricaduta sul piano delle relative spese. Stato e Regione, infatti, compartecipano con specifiche quote al carico delle spese per la sanità siciliana.
Ed è qui che entra in gioco il richiamo al 2006. In quell’anno, infatti, il Parlamento Italiano sancì l’aumento della quota di compartecipazione a carico della Regione, che è così passata dal 42,50% (stessa quota delle altre regioni) al 49,11% del totale. L’anno successivo, a titolo di compensazione, il governo di Roma – all’epoca guidato da Prodi – si impegnò a far incassare annualmente alla Regione Siciliana 600 milioni di euro di accise petrolifere relative a estrazioni e raffinazione effettuati sul territorio siciliano.
Da allora, tuttavia, questa previsione della legge finanziaria del 2007 è risultata sistematicamente disattesa, causando un ammanco cumulativo nelle casse regionali che supera ormai i 6 miliardi di euro. La beffa per le casse regionali non si ferma qui poiché, di fatto, la quota di compartecipazione regionale alla spesa sanitaria supera lo stesso 50% fissato nel 2006.
Il Governo Italiano, infatti, computa come fondi statali anche quelli derivanti dal gettito IRAP in Sicilia. Ne consegue che, su una spesa complessiva che supera i 9 miliardi di euro annui per il Sistema Sanitario regionale, soltanto una quota assai minoritaria grava concretamente sullo Stato centrale. Il resto è tutto a carico dei siciliani e delle casse regionali, già in grave sofferenza per via delle sistematiche violazioni della mai attuata autonomia fiscale e finanziaria. Una vera e propria truffa, insomma.
Possiamo quindi stupirci se la Sicilia risulta tra le regioni con la spesa sanitaria pro-capite più bassa d’Italia, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di chiusura di strutture ospedaliere, riduzione dei posti letto, aumento dei carichi di lavoro per medici ed infermieri e mancata sostituzione del personale in pensionamento?
E oltre il danno, anche la beffa: quei “crediti” che i siciliani vantano nei confronti dello Stato italiano, grazie alla pavidità del governo Schifani non solo non verranno mai riscossi (non sarebbe certo una novità, ci siamo abituati), ma non potranno più essere nemmeno reclamati sul piano strettamente formale. In sostanza lo Stato italiano, per tramite del suo alto rappresentante in Sicilia, nonché ex Presidente del Senato, si autocondona i propri debiti finanziari nei confronti dei siciliani.
Lascia un commento