• «Amu a parrari siciliano»: una conferenza a difesa della nostra lingua

    «Amu a parrari siciliano»: una conferenza a difesa della nostra lingua

    In occasione della Giornata Internazionale della Lingua Madre, mercoledì 21 febbraio si è tenuto a Palazzo Reale il primo convegno delle 18 associazioni riunite sotto la sigla AUCLIS – Associazioni Unite per la Cultura e la Lingua Siciliana. Nata in seguito al Convegno Unveiling Sicily and Islands Challenges: Language and Culture, tenutosi il 7 dicembre a Bruxelles e promosso dal Parlamentare Ignazio Corrao, AUCLIS riunisce associazioni che si impegnano nella salvaguardia e nella valorizzazione della lingua siciliana. Il Convegno, dal titolo Come valorizzare la lingua siciliana? 10 proposte operative, si è posto l’obiettivo di lanciare un percorso condiviso per impedire la scomparsa del siciliano che, come anche ritenuto dall’UNESCO, si trova tra le lingue vulnerabili a rischio estinzione. Presenti all’incontro anche alcuni deputati dell’Assemblea Regionale, nonché alcuni artisti che hanno intrattenuto i partecipanti con contenuti ricchi di tradizione e storia siciliana.

    Il filo rosso degli interventi introduttivi è stata la condivisa volontà di puntare al riconoscimento dello status di lingua per il siciliano. A fornire un autorevole parere in merito sono stati sei affermati linguisti. «Non conosco nessun linguista professionista che pensi che la lingua siciliana sia un dialetto» ha affermato il Professore Campisi, titolare della Cattedra di Lingua Siciliana A Tunisi, prima al mondo a essere istituita.

    «Il siciliano ha una propria grammatica, così come una propria letteratura. È nato ben prima che nascesse l’italiano. E allora perché comunemente si continua a pensare al siciliano come a un dialetto figlio dell’italiano, e non come una lingua neolatina al pari del portoghese, del rumeno o dello spagnolo?» si sono chiesti i relatori.

    Proprio a partire da questa domanda hanno spiegato perché la definizione del siciliano come lingua non è un capriccio. Capire le ragioni, che sono sì sociologiche ma soprattutto politiche, per cui tale lingua viene comunemente etichettata a dialetto, significa andare ad analizzare i rapporti storici e vigenti tra la Sicilia e lo Stato italiano. Fatta l’Italia, nel lontano 1861, bisognava necessariamente «fare gli italiani»: ricomporre artificialmente corpi disaggregati, riunificandoli sotto una medesima storia, cultura e lingua. Un’operazione lunga più di un secolo, articolata secondo metodi repressivi e di controllo capillari, che solo dalla seconda metà del Novecento ha avuto l’efficacia di far parlare l’italiano a tutti. In Sicilia tale processo ha comportato la svalutazione dell’identità culturale e linguistica degli isolani. Ecco perché ricominciare a parlare di lingua siciliana ha un significato profondo e inevitabilmente sociale. Manifestare la fierezza della propria lingua significa farla uscire fuori dallo scantinato in cui, per tanti anni, è stata rinchiusa, cominciando a utilizzarla in tutti i contesti – pubblici e privati.

    Alla fase di analisi è seguita quella operativa. Sono state infatti stilate dieci proposte per una rivitalizzazione concreta della lingua.

    Innanzitutto, si è detto indispensabile pensare a una pianificazione linguistica organizzata secondo metodi scientifici, per cui è necessario suddividere l’operazione in tre differenti gradi di azione: la pianificazione del corpus, dello status e dell’acquisizione della lingua.

    Affinché il numero dei parlanti cresca sensibilmente è necessario, inoltre, introdurre lo studio della lingua siciliana – così come della nostra letteratura – nei luoghi di formazione, promuovendo così un autentico bilinguismo fin dalle giovani generazioni. Nello specifico, andrebbe sollecitata l’attuazione della legge 9/2011 relativa all’insegnamento del patrimonio culturale e linguistico siciliano nelle scuole.

    Anche sentir parlare la nostra lingua nei mezzi di comunicazione principali – quali la televisione, la radio o la stampa – è di fondamentale importanza: non lasciarla segregata a lingua del cuore o delle emozioni, ma utilizzata nei contesti pubblici che pervadono la nostra quotidianità.

    Altre proposte operative sono state relative all’utilizzo di piattaforme social in siciliano, alla creazione di sovvenzioni per la produzione teatrale e cinematografica, all’istituzione di riconoscimenti, premi e borse di studio per chi si distingue nell’utilizzo della lingua. E ancora, l’idea di creare delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche e i piccoli teatri dell’opera dei pupi o attenzionare il mondo dello sport, inteso come strumento efficace a rafforzare lo spirito identitario.

    Alla presentazione delle proposte operative nate da AUCLIS è seguita la sottoscrizione del manifesto ideato dal Dott. Aurelio La Torre.

    Un evento che speriamo possa portare a un avanzamento nel percorso di salvaguardia e rafforzamento della nostra lingua. I membri di AUCLIS sono al lavoro per continuare l’azione nel territorio e con la classe politica: le 10 proposte rappresentano il primo passo per un cambio di approccio sul patrimonio del quale il siciliano è portatore, per considerare questa lingua con il rispetto dovuto e trattare il tema senza pregiudizi sociali e ideologici.

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