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  • Precipita in picchiata il tentativo del Governo di impedire a Ryanair di speculare sui biglietti dei siciliani

    Precipita in picchiata il tentativo del Governo di impedire a Ryanair di speculare sui biglietti dei siciliani

    Da Nun si parti

    Il primo vero round dello scontro ad alta quota tra l’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary, e le istituzioni regionali e nazionali, con il presidente Schifani in testa, è stato vinto dal Ceo della compagnia.

    I due fronti

    I battibecchi vanno avanti ormai da un anno a fasi alterne, in corrispondenza delle festività e dei periodi di maggiore affluenza di turisti.
    La scorsa settimana i toni si sono alzati e non di poco, con le istituzioni nazionali e regionali che hanno provato a fare la voce grossa, minacciando addirittura Ryanair di procedere per vie legali in nome della difesa della sovranità nazionale dalla tracotanza delle multinazionali.
    Peccato solo che, a pochi giorni di distanza, il Governo dal pugno di ferro abbia già ricacciato la testa sotto la sabbia, approvando un emendamento al tanto discusso decreto Asset.

    Facendo un passo indietro, O’Leary aveva recentemente dichiarato che «il decreto è basato su dati spazzatura. È un decreto stupido e idiota, che ridurrà i voli aumentando le tariffe. Abbiamo già ridotto i voli del 10% in Sardegna e lo faremo quest’inverno per la Sicilia».
    Infastidito dall’idea che si potesse porre un freno alla speculazione selvaggia sul costo dei biglietti aerei, rispose minacciando di tagliare i voli da e per la Sicilia, che negli anni tanti profitti hanno regalato alla sua azienda, accusando il governo italiano di aver approvato una misura incostituzionale e illiberale.

    Un sogno a occhi aperti

    In realtà, il decreto stabiliva il divieto di uso di algoritmi che fanno innalzare i prezzi per le rotte nazionali da e per le isole oltre il 200% della tariffa media del volo.
    La misura era stata pensata per impedire che, nei periodi di festa, il costo di un biglietto di andata e ritorno dalla Sicilia venisse quintuplicato, obbligando i siciliani a spendere 500, 600 o 700€ per poter tornare nella propria terra, mentre chi non può permettersi queste cifre è di fatto esiliato dall’isola.

    Per un attimo, è parso quasi di poter gridare al miracolo. Le istituzioni nazionali che agiscono concretamente, non limitandosi a fare la voce grossa, ma mettendo nero su bianco un decreto per contrastare i favolosi profitti delle grandi aziende sulla pelle dei siciliani? Un sogno a occhi aperti che, infatti, è rimasto tale.
    Nella giornata di ieri il Governo ha presentato un emendamento al decreto Asset, cancellando con un colpo di spugna il tetto massimo al prezzo dei biglietti, e chi s’è visto s’è visto.
    Una marcia indietro repentina quanto indegna, dimostrazione non soltanto del menefreghismo della classe dirigente nostrana, ma anche del totale asservimento del Governo agli interessi delle grandi compagnie.

    Tanto baccano per nulla

    La retorica delle istituzioni sull’importanza del diritto alla continuità territoriale si conferma soltanto tale.
    Tragicomico, infatti, il cambio di passo del ministro Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Appena una settimana fa assicurava che avrebbe portato Ryanair in tribunale se si fosse opposta al decreto, salvo poi rimangiarsi la parola, affidando genericamente all’Antitrust la possibilità di intervenire per calmierare il prezzo dei biglietti.

    Al contrario di quanto invece avviene, porre  un freno alla speculazione selvaggia di cui i siciliani sono vittime, garantendo la possibilità di spostarsi tutto l’anno anche a chi non guadagna cifre da capogiro, dovrebbe essere in cima alle priorità della classe politica tutto l’anno e non un becero tentativo di fare la voce grossa per risalire gli indici di gradimento all’inizio e alla fine di ogni alta stagione, salvo poi ritirarsi con la coda tra le gambe.


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