• Sicilia hub energetico: l’isola verso un futuro di sviluppo tecnologico o di sfruttamento?

    Sicilia hub energetico: l’isola verso un futuro di sviluppo tecnologico o di sfruttamento?

    Mentre la Sicilia si trova nel pieno di emergenze vecchie e nuove, tra cui, in particolare, la recente crisi idrica, che mette a rischio i raccolti e rende difficile la quotidianità degli abitanti, la classe politica nazionale ed europea sembra disinteressata a risolvere la crisi in atto. Eppure, la nostra isola non è fuori dal mirino degli interessi globali. Si guarda alla Sicilia come un futuro hub energetico e tecnologico d’Europa, un progetto ambizioso e non privo di criticità.

    Non sembra avere dubbi sul destino dell’isola il ministro per le imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, che recentemente ha dichiarato che «La Sicilia diventerà un hub produttivo scientifico, tecnologico e di comunicazione nel settore del digitale».
    Un esempio concreto è rappresentato dai 5 miliardi di euro stanziati per l’Etna Valley, che dovrebbero rendere la Sicilia un punto di riferimento europeo nella produzione di microelettronica e tecnologie green, in particolare nella produzione di pannelli fotovoltaici. Di fronte a tali dichiarazioni è lecito chiedersi se questo immaginario rappresenti un’opportunità reale per l’isola o se si tradurrà soltanto in un ulteriore processo di sfruttamento delle risorse e del territorio.
    La produzione di semiconduttori, infatti, richiede un ingente consumo d’acqua, risorsa già scarsa sull’isola. Il processo di produzione dei semiconduttori consuma, infatti, oltre 3.456 migliaia di metri cubi d’acqua all’anno. In una regione in cui la crisi idrica è una realtà tangibile, la sostenibilità di tali progetti appare quantomeno discutibile.

    Il contesto geopolitico internazionale contribuisce ulteriormente a rendere complessa la situazione. Mentre le tensioni tra Stati Uniti e Cina spingono l’Europa a cercare maggiore indipendenza nella produzione di semiconduttori, l’Unione Europea si trova costretta a individuare aree interne su cui basare una maggiore autosufficienza produttiva.
    La tanto agognata indipendenza dalla Cina non potrà, però, avverarsi, in quanto all’aumentare della produzione di semiconduttori, si affianca un aumentare ancor più incisivo della domanda di questi ultimi. Pertanto, la produzione europea non riuscirà a sostituirsi completamente alla concorrenza asiatica ma potrà, al massimo, aggiungersi a essa.

    La Sicilia, in questo scenario, rischia di diventare il terreno privilegiato per politiche di tipo estrattivo e produttivo, funzionali a mantenere l’Europa competitiva ma potenzialmente dannose per l’ambiente e la popolazione locale.
    Questo non è un fenomeno nuovo. Da decenni la Sicilia è al centro di politiche estrattive, già sede di infrastrutture energetiche di grande impatto, come l’unica centrale a olio combustibile dello Stato italiano, e tre poli petrolchimici, tra cui il più grande d’Europa, situato ad Augusta. In particolare, quest’ultimo è stato recentemente designato per ospitare un vasto impianto di stoccaggio di CO₂ in mare, che dovrebbe trasformare fino a 800 tonnellate di CO₂ all’anno in bicarbonato di calcio. Sebbene l’obiettivo sia ridurre la concentrazione di carbonio nell’atmosfera, i critici temono che questa operazione possa servire solo a legittimare le condizioni di sfruttamento dell’isola. Invece di risolvere alla base il problema che affligge il litorale augustano, dove la concentrazione di anidride carbonica nell’aria è tra le più alte d’Italia, si cercano vie d’uscita per garantire gli interessi delle multinazionali a discapito della salute della popolazione locale.

    È in questo contesto che la Sicilia rischia di assumere un ruolo chiave nei nuovi equilibri geopolitici. Mentre il mondo affronta tensioni e conflitti legati alla ridefinizione dei rapporti di forza tra potenze globali, l’isola potrebbe ritrovarsi nuovamente in una posizione strategica, come già accaduto durante la Guerra Fredda. Ma questa volta, oltre a essere un avamposto militare, la Sicilia potrebbe diventare un centro produttivo di risorse energetiche e tecnologiche, indispensabile per sostenere le esigenze industriali e militari dell’Europa e dei suoi alleati.

    I timori che la Sicilia venga considerata un territorio di sfruttamento da parte dello Stato italiano e dell’Europa sono più che giustificati. La questione non riguarda solo il futuro economico dell’isola, ma anche il suo diritto a uno sviluppo sostenibile che tenga conto dei bisogni della sua popolazione e delle sue risorse naturali. Mentre le istituzioni parlano di progetti di sviluppo e innovazione, serve chiedersi se questo nuovo “futuro” non sia semplicemente una versione aggiornata delle vecchie dinamiche colonialiste.
    Per impedire che la Sicilia diventi uno spazio completamente subordinato agli interessi esterni è necessario un approccio che metta al centro l’autodeterminazione del popolo siciliano, un processo che richiede il coinvolgimento attivo della società civile, delle istituzioni locali e di tutti coloro che credono in un modello di sviluppo che valorizzi le peculiarità e le esigenze del territorio.

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