Sono 120 i Comuni siciliani che il 12 giugno sono andati alle urne per eleggere i propri Sindaci e per rinnovare i Consigli comunali e di Circoscrizione.
In totale più di un terzo della Sicilia è andato al voto. Mentre 107 dei Comuni coinvolti sono più piccoli dei 15 mila abitanti, quasi la metà dei votanti complessivi risiede nei due principali capoluoghi di provincia: Palermo e Messina.
Gli schieramenti elettorali sono stati frutto di mesi e mesi di accordi, anche in vista delle vicine elezioni regionali: il centro-destra si è presentato compatto nei due capoluoghi di provincia e in molti Comuni, mentre il centro-sinistra ha consolidato la sua disperata alleanza con il Movimento 5 Stelle.
L’indipendentismo delle scorciatoie
A urne chiuse e conti fatti, emergono in particolare due elementi che ci interessa segnalare: 1) le elezioni democratiche in una Sicilia colonia sono utili solo per i giochi elettorali dei partiti nazionali; 2) le “forze” politiche indipendentiste che hanno pensato a scorciatoie unendosi a opzioni politiche nazionali di destra o di sinistra hanno mostrato, come già fatto in passato, la loro debolezza con percentuali intorno all’un per cento sia per Sturniolo a Messina che per Lomonte a Palermo.
Non è andata meglio a chi si è presentato da solo senza apparentamenti con partiti politici italiani.
Crediamo infatti che per l’indipendentismo sia il momento della lotta, del radicamento nelle città e nei paesi della nostra Sicilia, della costruzione di comunità antagonistiche rispetto allo Stato italiano. Non è tempo di competere in tornate elettorali che se da un lato forniscono una grande vetrina mediatica, dall’altro generano una perdita di credibilità e di fiducia dei siciliani nell’opzione indipendentista, date le scarse percentuali di voti ottenuti.
Vince l’astensionismo
L’altra strada invece – quella intrapresa dai politicanti siciliani asserviti e subalterni ai partiti italiani, che hanno permesso che la Sicilia venisse usata come campo di forze per ristabilire gli equilibri di potere nazionali – ha spinto i siciliani a non presentarsi alle urne.
Il vincitore indiscusso di queste elezioni è infatti l’astensionismo. Secondo i dati forniti dalla Regione Siciliana, risulta che nell’isola solo il 51,28% degli aventi diritto al voto abbia scelto di andare a votare.
Nel capoluogo siciliano, secondo la piattaforma telematica del Comune di Palermo, l’affluenza si è invece attestata al 41,85%. Una percentuale in netto calo rispetto alle precedenti amministrative, quando l’affluenza era stata al 52,60%. Complice di questo dato, sicuramente, la gente che si è rotta le scatole dei politicanti, ma anche le belle giornate al mare, la finale dei playoff del Palermo calcio e il grande caos generato dalla macchina burocratica elettorale, che non è stata nemmeno in grado di garantire l’apertura dei seggi dalle 7 alle 23. La mattina delle elezioni, infatti, 170 presidenti di seggio non si sono presentati e i cittadini che volevano votare nelle loro sezioni le hanno trovate chiuse. In alcuni casi la situazione è tornata alla normalità solo dopo otto ore.
A Messina, stessa storia: ha votato il 55,64% degli aventi diritto, 9,37% in meno rispetto alle precedenti amministrative del 2018. L’affluenza più bassa di sempre.
Questa un prima lettura di quella che ci sembra una tornata elettorale che non ha mostrato alcun elemento di novità o di rottura possibile con l’esistente. Come già scritto, crediamo che questo sia il tempo della ricerca metodica e costante di un radicamento dentro i paesi e dentro le città della proposta indipendentista dallo Stato italiano, senza scorciatoie.
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