Pubblichiamo l’intervento di Pau Juvillà, esponente della CUP, alla conferenza internazionale “Percorsi di Indipendenza in Europa” svoltasi il 30 marzo presso L’Assemblea Regionale Siciliana.
Innanzitutto, vorremmo ringraziarvi per averci invitato a partecipare a questo convegno internazionale. Riuniamo qui un gruppo di nazioni apolidi, con il desiderio di conoscersi e rafforzare i legami di amicizia e di solidarietà. Una solidarietà che la poetessa e scrittrice nicaraguense Gioconda Belli diceva essere la tenerezza del popolo. Oggi vi portiamo la tenerezza dalla Catalogna.
Autodeterminazione e repressione
La Catalogna, e l’insieme dei Paesi catalani, rimangono sottomessi alla Spagna da più di 300 anni. Uno Stato che nega il diritto fondamentale all’autodeterminazione del nostro popolo, uno Stato che nel 2017 ha opposto polizia, manganelli e palle di gomma alle migliaia di catalani che sono andati a votare in un referendum per decidere il futuro del nostro Paese.
Sui catalani si è abbattuto un giro di vite che ha portato le persone in prigione, in esilio, e più di 3.000 persone a processo – una delle quali io, accusato di avere esposto un nastro giallo alla finestra. Dopo che la magistratura spagnola ha incarcerato due attivisti, Jordi Cuixart e Jordi Sànchez, presidenti di due entità civili, abbiamo deciso di appendere nell’ufficio che occupavo nel Comune di Lleida, di cui ero consigliere, nastri gialli in segno di solidarietà e per protestare contro la condanna.
Di conseguenza, questo febbraio il tribunale mi ha condannato alla perdita del mio status di membro del Parlamento della Catalogna e di terzo segretariato dello stesso. Un fatto che non è un caso isolato ma un modus operandi. Le tre ultime cariche del Parlamento sono state o condannate o sono in attesa di processo per un fatto così increscioso quale avere permesso il dibattito nel parlamento della Catalogna sull’autodeterminazione del popolo catalano o sulla monarchia.
La forza del municipalismo
Questa è la situazione nel nostro Paese oggi, dove l’indipendenza si presenta in parlamento con una maggioranza del 52% e dove noi, la CUP, siamo presenti con 9 deputati. Noi siamo un’organizzazione essenzialmente municipalista, nonostante abbiamo 9 deputati al Parlamento della Catalogna e 2 al Congresso dello Stato spagnolo. Sono i nostri sindaci e consiglieri che ci danno forza, perché crediamo che la trasformazione sociale e l’indipendenza debbano venire dal basso.
La nostra nazione ha una lunga storia di lotte dai comuni, dalla proclamazione della Repubblica Catalana nel 1931 in molti comuni, ai Fatti di Fígols del 1932, dove comuni come Figols, Berga e Balsareny proclamarono il comunismo libertario, fino all’immagine del 750 sindaci che nel 2017 al Palazzo della Generalitat hanno chiesto il diritto di voto nel referendum di autodeterminazione.
Molte delle grandi trasformazioni del nostro Paese sono nate o hanno tenuto conto dei comuni. E noi, la sinistra indipendentista, siamo eredi e beviamo da questa tradizione. Ma purtroppo siamo anche eredi di una tradizione di frammentazione che abbiamo cominciato a invertire nel 2000, quando abbiamo scommesso sul municipalismo che ci ha portato ad avere più di 200 consiglieri e diversi sindaci. Solo dopo aver consolidato il nostro spazio comunale, il nostro DNA, abbiamo deciso di correre nelle elezioni al Parlamento della Catalogna e poi a quelle dello Stato spagnolo.
Ripartire dal comune e dai Comuni
Perché per noi il municipalismo è sempre stato un asse cardine della nostra attività politica, un municipalismo che oggi è diventato un campo di azione centrale e di costruzione democratica nell’agenda dei movimenti di trasformazione politica. E lo è, non solo perché i consigli comunali sono le istituzioni più vicine ai cittadini e, quindi, le più sensibili ai bisogni e alle istanze dei cittadini, ma anche perché è lo spazio dove la politica e la strada si incontrano per trasformarsi.
È quello spazio in cui l’istituzione rafforza la società e la società governa l’istituzione, uno spazio di autogoverno che pone al centro della politica l’autorganizzazione del popolo come soggetto e motore della politica, della democrazia e della trasformazione sociale.
I Comuni devono essere il primo anello di emancipazione sociale, democratica e nazionale perché sono legati a una specifica realtà fisica e territoriale, che li rende aperti alla partecipazione e alla difesa di tutte le persone che li abitano e, quindi, li rende potenti. È chiaro che il municipalismo, però, non è un tutto. È una parte che deve essere mantenuta in relazione ad altri spazi sovracomunali di mobilitazione, riflessione, intervento sociale e politico – ma è una parte essenziale.
E la sua forza è evidente in Catalogna. Ad esempio, i Comuni sono stati i primi a scommettere sulla sovranità energetica, a chiedere che le centrali idrauliche passassero in mano pubblica, a difendere il diritto alla casa o alla cittadinanza di tutti e, nel caso del processo di indipendenza del nostro Paese, stando al fianco dei cittadini offrendo spazi per votare al referendum e chiedendo ai residenti della loro località di recarsi alle urne.
Ecco perché oggi decine di sindaci sono stati condannati o vengono perseguiti dalla legge, alcuni addirittura per essersi frapposti fisicamente alla polizia che voleva entrare nei seggi elettorali della loro città. Siamo assolutamente convinti della capacità trasformativa e della parte fondamentale dei Comuni nel raggiungimento dell’indipendenza, perché la costruzione nazionale deve essere fatta dal basso e a sinistra, dal municipalismo.
Noi catalani diciamo che per vincere dobbiamo «anar-hi, anar-hi i anar-hi», che sarebbe un po’ come quando voi dite che «La Sicilia di domani sarà quale noi la vogliamo: pacifica, laboriosa, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori!»
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