A saltare all’occhio, infatti, è anche il risultato delle elezioni amministrative scozzesi dominate dallo Scottish National Party, il partito indipendentista guidato dalla premier Nicola Sturgeon. Si è votato in tutti e trentadue i consigli (più o meno l’equivalente delle province italiane) e le elezioni hanno, tra l’altro, registrato un ulteriore arretramento dei Conservatori britannici del premier Boris Johnson, assai ostili all’indipendenza scozzese.
Ad influire sulla campagna elettorale e sui conseguenti risultati, oltre alla sempre viva tematica dell’indipendenza, è stato il tema del crescente aumento del costo della vita, fenomeno causato in particolare dalla crisi pandemica iniziata nel 2020. Proprio su questo argomento si è non a caso concentrata la strategia elettorale dello SNP, che nel suo manifesto per la competizione elettorale in oggetto ha puntato molto sull’incremento dei sostegni pubblici all’economia e sui servizi ai cittadini.
Nel frattempo un sondaggio commissionato dal Sunday Times segnala l’incremento della percentuale di scozzesi favorevoli ad un nuovo referendum per l’indipendenza. Da tale inchiesta risulta che i favorevoli al referendum abbiano ormai raggiunto il 55% degli intervistati, dato che collima con l’intenzione delle autorità scozzesi, determinate ad indire una nuova consultazione referendaria già nel 2023.
Oltre a Irlanda del Nord e Scozia, segnali di vitalità delle istanze identitarie e indipendentiste giungono anche dal Galles, dove Plaid Cymru ha ottenuto una sostanziale conferma.
Se a questo aggiungiamo che negli ultimi anni anche nella più povera e sfortunata delle “nazioni celtiche”, ovvero la Cornovaglia, è in atto un fenomeno di risveglio culturale e politico non ancora giunto a piena maturazione, appare sempre più evidente quanto il Regno Unito – dopo la Brexit – sia prossimo ad essere attraversato dal vento dell’autodeterminazione.
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