Tra le tante “emergenze” divenute ormai strutturali della nostra isola, una delle più rilevanti è sicuramente quella della gestione dei rifiuti. Tra assenza di operatori ecologici, discariche stracolme di rifiuti e un sistema di raccolta differenziata che non riesce proprio a decollare nelle grandi città, il Presidente Schifani, come fulminato sulla via di Damasco, già da tempo ha ricevuto l’illuminazione, che vede gli inceneritori la soluzione per salvare la Sicilia da un’emergenza a suo dire altrimenti irrisolvibile.
Potrebbe sorprendere molti scoprire che, nonostante ciò, la Sicilia è una tra le regioni dello Stato italiano più efficienti in materia di raccolta differenziata. Secondo i dati forniti dalla Regione Siciliana, nel 2023 ben 80 comuni sono stati considerati “rifiuti free” perché producono non più di 75 chili di rifiuti indifferenziati l’anno per abitante. In generale, in 210 comuni dell’isola la percentuale di raccolta differenziata supera il 70%. Il problema risiede quindi nel controllo dei rifiuti in quei centri urbani che non dispongono delle risorse necessarie per gestirli adeguatamente.
Un caso estremo è rappresentato dalle due principali città dell’isola, Palermo e Catania, che insieme contano più di un quinto dei residenti in Sicilia, ma dove la percentuale di differenziata raggiunge rispettivamente solo il 35% e il 16%.
Le ragioni di questa grande disparità sono diverse, tutte riconducibili alla mancanza di un piano regionale efficace per la gestione dei rifiuti. Attualmente, tutta la responsabilità è affidata alle Società di raccolta rifiuti (SRR), gestite direttamente dai sindaci. La frammentazione del sistema di raccolta, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti ha due principali conseguenze: da un lato lascia i comuni con scarse risorse economiche in balia delle proprie difficoltà, dall’altro favorisce l’ingresso di soggetti privati che offrono i servizi pubblici a costi elevati.
Analizzando la situazione delle discariche dell’isola, si scopre che alla fine degli anni Novanta esistevano 511 discariche pubbliche in Sicilia, strutture di dimensioni medio-piccole gestite direttamente dai comuni. Tuttavia, la mancanza di risorse economiche e di un piano di smaltimento complessivo ha esaurito le casse dei comuni, trasformando queste aree in vere e proprie bombe ecologiche. Di conseguenza, le amministrazioni regionali, a partire dagli anni Duemila, hanno preferito far chiudere le discariche pubbliche per lasciare spazio ai privati, incaricati di realizzare impianti di enormi dimensioni. Posto che praticamente nessuna di queste discariche pubbliche, a quasi trent’anni di distanza dalla chiusura, è stata ancora bonificata, l’apertura dei grandi centri di raccolta privati ha solo spostato il problema, arricchendo al contempo le tasche delle grandi famiglie che gestiscono le discariche.
Emblematico è il caso della discarica di Lentini, una delle più grandi dell’isola, a lungo al centro di polemiche ambientali e politiche. Questo sito rappresentava una delle principali destinazioni per i rifiuti solidi urbani di gran parte della Sicilia orientale, servendo oltre 200 comuni, inclusa la città di Catania. Negli anni, la discarica di Lentini ha accumulato una quantità di rifiuti ben superiore alla sua capacità originale, creando notevoli preoccupazioni per il rischio di inquinamento del suolo e delle falde acquifere.
Lo stop al suo utilizzo è arrivato nei mesi scorsi a seguito di un lungo tira e molla fatto di ordinanze, ricorsi e chiusure di pochi giorni dell’impianto seguite da altrettanto brevi riaperture. Lentini rappresentava un nodo cruciale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti dell’area orientale dell’isola, e la sua chiusura ha costretto a trovare soluzioni alternative per gestire la mole di rifiuti che vi veniva conferita. Dopo la chiusura, infatti, i rifiuti sono stati dirottati verso altre discariche in Sicilia, molte delle quali già sature o prossime al raggiungimento della capacità massima.
Per quei rifiuti che nelle discariche siciliane non hanno trovato spazio si è optato per l’esportazione all’estero. Ai tanti accordi che la Regione Siciliana ha stipulato con Stati esteri per inviargli rifiuti, se n’è aggiunto recentemente un altro, contratto in estate con la Finlandia, per spedire 90 mila tonnellate di scarti indifferenziati, che avrebbero dovuto essere destinati a Lentini, fino al prossimo 30 giugno. Il costo di questa operazione, pari a 400 euro per tonnellata, è interamente a carico dei comuni, con un inevitabile impatto sulle tasse per i cittadini. Il risultato? Il prezzo pagato dai siciliani per lo smaltimento dei rifiuti è altissimo: «In Sicilia – spiega il presidente Anci – il costo medio di smaltimento è 380 euro a tonnellata, tre volte in più della media nazionale. Un chilo di rifiuti costa 0,38 euro mentre un chilo di arance 0,20 euro».
Veniamo dunque agli inceneritori. Al netto del demagogo tentativo di indorare la pillola all’opinione pubblica chiamandoli “termovalorizzatori”, fisiologica propaganda di un governo a cui – non avendo né larghe vedute né progetti particolarmente brillanti – resta poco altro, su tali impianti si potrebbero buttar giù fiumi di parole. Dai rischi sull’ambiente (perché cambiargli il nome non riduce le emissioni) all’alto costo per la realizzazione fino ai poteri speciali concessi a Schifani come un novello Cesare in piena guerra civile. Tutte questioni rilevanti, ma che probabilmente non vanno al cuore della questione. Ovvero che sì, la costruzione di questi impianti ridurrebbe la quota di rifiuti che viene posta in discarica o spedita all’estero a caro prezzo, ma non risolverebbe l’emergenza rifiuti. Si limiterebbe, piuttosto, a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Le cause strutturali del problema vanno ricercate in un sistema di differenziazione dei rifiuti che non funziona a sufficienza (con il conseguente sovraccarico delle discariche), in un settore pubblico lento e inefficiente nella raccolta e nel trasporto dell’immondizia per l’assenza di risorse economiche e umane – vedasi la Rap di Palermo – e in privati che speculano su una gestione marcia nelle sue fondamenta. Costruire gli inceneritori senza pensare a come oliare a dovere tutto il meccanismo non aiuterebbe a raggiungere l’obiettivo che dovrebbe essere principale, ovvero aumentare la quota di rifiuti differenziati, gli unici che non finiscono né in discarica né tra le fauci dei termovalorizzatori.
Ciò che servirebbe per liberare la Sicilia e i siciliani dall’emergenza immondizia è un piano strutturale per la gestione dei rifiuti, con investimenti seri e una visione di lungo periodo, non grandi opere che arricchirebbero, ancora una volta, le tasche dei privati che se ne occuperebbero.
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