Pubblichiamo l’intervento di Louis Lemkow Zetterling, membro dell’esecutivo di settore per l’Unione Europea e la Politica internazionale di “Esquerra Republicana de Catalunya” e cattedratico emerito dell’Università Autonoma di Barcellona, alla seconda conferenza internazionale “Percorsi di Indipendenza in Europa” svoltasi il 30 marzo presso L’Assemblea Regionale Siciliana.
Buongiorno, è un grande piacere essere a Palermo, città con molti legami storici e culturali con la Catalogna. Non farò un discorso di partito, sarà un approccio molto personale alla mia visione dell’indipendenza catalana.
Difendo il diritto del popolo catalano di decidere del proprio futuro attraverso un referendum e difendo anche l’opzione dell’indipendenza catalana. Non sono sempre stato indipendentista, mi sono evoluto verso questa posizione, ma non sono l’unica persona che in questi anni ha virato verso posizioni indipendentiste. Dobbiamo tener conto che un paio di decenni fa solo il 15% dei catalani al massimo si dichiarava indipendentista – ora siamo intorno al 50%. Come è possibile? La gente mi chiede con una certa perplessità, data la mia origine e il mio profilo, come mai difendo l’autodeterminazione della Catalogna e come sono passato dal sostenere un’opzione federalista all’indipendentismo.
Spiegherò molto brevemente il mio “background” – qualcuno potrebbe pensare che fare questo sia espressione di un certo narcisismo, ma non è questa la mia intenzione. Sono nato a Stoccolma, in Svezia, figlio di un profugo della persecuzione nazista. Mi chiamo Louis Lemkow Zetterling. Lemkow è un cognome ebreo russo/ucraino. Zetterling è un cognome baltico. Louis è un nome francese. Ho vissuto i miei primi anni a Londra e la mia educazione è inglese. Sono un altro esempio della diversità di cui è composta la Catalogna. Sono molti i catalani arrivati di recente in Catalogna che esprimono il loro sostegno al processo di autodeterminazione della Catalogna e la domanda spesso è: perché?
Il mio cambio di posizione è il risultato di un processo di comprensione e di aver vissuto in Catalogna per 48 anni – compreso anche l’ultimo anno del dittatore Franco. In questo periodo ho imparato qualcosa di molto rilevante: i gravi limiti dell’attuale sistema di autonomia e la dura realtà di cosa significa essere una nazione senza Stato.
Come molte persone, ho scoperto che una nazione senza un proprio Stato non ha la forza per direzionare il proprio destino. In quanto parte dello Stato spagnolo, la Catalogna non è riuscita a raggiungere il benessere culturale, sociale, economico e ambientale che merita. Senza uno Stato proprio, risulta molto difficile difendere la lingua catalana, soggetta a una continua erosione. Si può infatti dire che la Catalogna è stata soggetta agli interessi dello Stato spagnolo, che spesso non coincidono con gli interessi e le aspirazioni di una Catalogna libera.
Questo è quello che ho imparato durante i 48 anni che ho vissuto in una Catalogna diversa e dinamica.
Ora vorrei parlare delle dinamiche e delle tradizioni della nostra società civile e dell’attivismo verso rivendicazioni di giustizia sociale, solidarietà e internazionalismo molto presenti nella società catalana sin dalla cosiddetta “transizione democratica”. Da allora la società catalana si è mobilitata in modo massiccio e pacifico. Ci sono molti esempi: alla fine degli anni Settanta le rivendicazioni di amnistia e di autonomia; negli anni Ottanta la campagna contro l’ingresso della Spagna nella NATO,; le guerre in Iraq e, dal 2010, le manifestazioni di massa a favore del diritto di decidere.
Il referendum del 1 ottobre 2017 ha rappresentato un punto di svolta in termini di risposta dello Stato ai processi di partecipazione massiccia e pacifica nella società catalana. Le proteste precedenti non hanno rappresentato alcuna sfida per lo Stato, ma l’indipendenza sì. La risposta è stata molto dura. Avete visto i video della repressione poliziesca del referendum. Forse ancora più grave è stata la giustizializzazione della politica attraverso gli interventi dei tribunali spagnoli, che si è conclusa con il carcere e l’esilio per attivisti e politici catalani. L’uso del diritto penale da parte del precedente governo contro gli oppositori politici stava portando la politica fuori dalla politica: il suo rifiuto di confrontarsi politicamente a quella che era chiaramente una crisi politica, può essere considerata una svalutazione della democrazia, la negazione del processo democratico e quindi una sfida diretta al regime dei diritti umani. Il ricorso ai processi giudiziari è un retaggio del franchismo. Celebriamo infatti a Barcellona il 6 maggio una giornata su “Il fantasma di Franco” ovvero “La giurisdizionalizzazione della politica in Catalogna e in Spagna” organizzata dall’Associazione Europea degli Avvocati per la Democrazia e i Diritti Umani (ELDH).
La svolta sul tema della giustizia inizia nel 2010 con l’annullamento di fatto di una nuova legge di autonomia catalana; legge che era stata approvata dai parlamenti spagnolo e catalano e attraverso un referendum. Nel 2010, mentre era all’opposizione, il Partito Popolare, il partito conservatore, portò la Legge di Autonomia, che aveva ampliato e trasferito più poteri alla Catalogna, dinanzi la Corte Costituzionale, che ne annullò di fatto i contenuti più basilari. Questo non fu l’inizio della giurisdizionalizzazione della politica in Spagna, ma fu simbolicamente di straordinaria importanza nella generazione di una crisi costituzionale e politica tra Spagna e Catalogna. Da quel momento in poi il malcontento è sfociato in manifestazioni massicce e del tutto pacifiche in Catalogna, che spesso hanno coinvolto più di un milione di persone nelle strade. In quel momento l’indipendenza della Catalogna era all’ordine del giorno.
Il tentativo di estendere l’autonomia della Catalogna fu un fallimento e già un’alta percentuale della società catalana era comunque frustrata dalle carenze degli statuti di autonomia. L’indipendenza ha quindi superato le visioni autonomistiche.
L’indipendenza implica soprattutto la possibilità di lavorare liberamente per migliorare la qualità della vita in Catalogna, ridurre le disuguaglianze sociali e di genere, rafforzare lo Stato sociale, le infrastrutture e i servizi; rappresenta la possibilità o l’opportunità di ripensare il modello di sicurezza e di difesa e implementare una vera e propria transizione ecologica per il Paese.
Grazie mille.
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