Il progetto per la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle, in zona Kaos, a ridosso della Valle dei Templi, continua a essere uno degli obiettivi principali del Governo regionale, noncurante delle conseguenze che questo avrebbe tanto sul piano ambientale, quanto per l’economia locale. Infatti, il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani – che ha rimarcato in diverse uscite pubbliche la strategicità dell’opera – nelle scorse settimane ha approvato il decreto di proroga della scadenza di fine lavori, necessario per mandare avanti un progetto partorito ormai nel lontano 2004.
La costruzione del rigassificatore, dopo essere stata archiviata alla fine degli anni 2000 in seguito alla schiacciante vittoria del no nel Referendum popolare, è stata ripescata da Enel in seguito all’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, sfruttando l’allarmismo generale circa la necessità di trovare fonti di approvvigionamento energetico alternative al gas russo. Negli ultimi giorni, invece, l’escalation del conflitto tra Israele e Palestina ha rappresentato una ghiotta occasione per rilanciare la necessità dell’opera, baluardo verso la tanto agognata autonomia energetica dello Stato italiano. A parlarne questa volta è stato niente di meno che Nicola Lanzetta, direttore del gruppo Enel Italia, il quale negli scorsi giorni ha affermato che «I recenti accadimenti geopolitici dimostrano la strategicità dei rigassificatori, e quello di Porto Empedocle non può che essere un’opera strategica e indispensabile per fronteggiare eventuali nuove crisi energetiche a livello internazionale».
La creazione della necessità
Da due anni a questa parte, la narrazione usata dalla classe dirigente e dalle multinazionali dell’energia per giustificare progetti del genere è sempre la stessa: profilare drammatiche crisi all’orizzonte, raccontare di star vivendo in una fase perennemente emergenziale e, pertanto, affermare che bisogna fare tutto ciò che è necessario per evitare di lasciare l’Italia al buio. Caso vuole che, proprio sulla scia di questa storia di ordinaria emergenza, in Sicilia spuntino come funghi progetti di ogni sorta per diversificare la produzione energetica, non tanto al servizio della nostra isola, ma dell’Italia e l’Europa intera, come dichiarato pubblicamente anche dalla Presidente del Consiglio Meloni in persona. Ed ecco fioccare progetti su progetti per sfruttare ogni fonte di energia esistente: dal carbone al solare, dall’eolico al gas, fino al petrolio, e chi più ne ha più ne metta.
Quindi, al progetto per la costruzione di un rigassificatore a Porto Empedocle si accompagnano quelli per la costruzione di due gasdotti. Uno, posizionato nella martoriata Gela – in cui non si contano più i morti di cancro e leucemia a causa di sessant’anni di petrolchimico – utile a vendere a Malta lo stesso gas fatto arrivare a Porto Empedocle necessario a causa della perenne crisi energetica. L’altro, costruito nella zona di Termini Imerese, sdradicando 1600 ulivi secolari per far posto al nuovo inquilino. Parallelamente, fioccano in tutta l’isola distese di pannelli solari nelle campagne, oramai più diffusi degli ulivi, mentre, tra le altre cose, Schifani si batte per la costruzione di due inceneritori come se ne valesse della sua stessa vita. Tutto questo senza contare i mostri presenti da decenni, che hanno devastato la nostra isola ingrossando i fatturati delle multinazionali, come il polo petrolchimico di Augusta, la più grande catena di raffinerie d’Europa, che si estende per 20 chilometri di costa.
Proprio in questi giorni, il progetto per la costruzione del gasdotto messo al servizio del rigassificatore di Porto Empedocle si è definitivamente arenato. Le ragioni della bocciatura sono state diverse: l’opera sarebbe stata contraria ai vincoli paesaggistici, idrogeologici, archeologici e storici. A pesare anche il fatto che ne è venuta meno la validità, poiché i lavori sarebbero dovuti terminare entro il luglio del 2020, mentre negli scorsi mesi è divenuta inefficace la dichiarazione di pubblica utilità, e lo scorso 7 settembre è stata respinta la richiesta di rilascio di un’ulteriore proroga dell’autorizzazione paesaggistica. Nonostante ciò, tanto il Governo nazionale quanto quello regionale sono disposti a realizzare il Rigassificatore a Porto Empedocle a ogni costo.
La colonia energetica dell’Europa
Appare chiaro come l’obiettivo sia rendere la Sicilia una vera e propria batteria per l’Italia e per l’Europa, colonia energetica al servizio delle industrie dei centri produttivi. È in questo quadro che si inserisce l’insistenza della politica per la realizzazione del rigassificatore, sebbene l’opera sia sgradita alla popolazione, oggi come vent’anni fa. La sua costruzione, infatti, oltre che avere un enorme impatto ambientale – per via del rilascio di diverse sostanze tossiche nell’aria (metano, butano, etano e propano, tutti gas serra) e dello sversamento di cloro nell’acqua – ucciderebbe l’economia dell’intera provincia. La realizzazione dell’opera renderebbe obbligatoria l’imposizione del divieto di balneazione in un’area ben più estesa rispetto a quella in cui sorgerebbe l’impianto, spazzando via qualsiasi attività di pesca e di turismo per chilometri e chilometri. Settori su cui si basa l’economia della zona, e che danno lavoro a migliaia di agrigentini.
Proprio per questo la popolazione locale, oggi come vent’anni fa, si oppone con decisione alla costruzione del rigassificatore. Negli ultimi due anni, dopo che il progetto è stato ritirato fuori da sotto il tappeto, numerose assemblee cittadine e momenti di dibattito hanno coinvolto le scuole e le associazioni locali, tra cui il Movimento per la Sostenibilità, che si sono mobilitate contro la realizzazione dell’opera. Lo scorso 21 ottobre si è tenuto l’ennesimo incontro pubblico, questa volta a San Leone, area dalla forte vocazione turistica, organizzato dai diportisti della zona allo scopo di costruire un fronte comune tra i diversi gruppi presenti per bloccare la realizzazione dell’opera. Se la classe dirigente regionale è totalmente appiattita sulle posizioni del Governo nazionale, avallando ogni tipo di decisione presa sulla pelle di chi in questa terra ci vive e vorrebbe restarci, i siciliani dimostrano di non essere disposti ad abbassare facilmente la testa.
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