Questo sabato si terrà a Palermo una manifestazione organizzata dal collettivo di Ecologia Politica Palermo e dai comitati che si sono costituiti contro la costruzione del Deposito Nazionale di scorie radioattive in Sicilia. La manifestazione è stata lanciata dopo la trasmissione della CNAI, la Carta nazionale delle aree idonee, al Ministero per la Transizione Ecologica, un ulteriore passo avanti nel processo di scelta della località dopo la pubblicazione della prima carta, la CNAPI, avvenuta nel giugno 2021.
La nuova mappa, in cui figurano i siti siciliani di Trapani, Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula-Petralia Sottana e Butera, è stata trasmessa al Ministero della Transizione Ecologica, che dovrebbe approvarla – dopo aver sentito l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e di concerto con il Ministero delle Infrastrutture – tramite decreto.
Nel Deposito Nazionale saranno sistemati definitivamente circa 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività.
Le ragioni che ci spingono a dire no alla costruzione di questo Deposito e che dopodomani porteranno i comitati a scendere in piazza sono molteplici. Guardiamole più da vicino.
NO al deposito, nè qui…
Al no alla costruzione del Deposito in Sicilia nell’ultimo anno si è contrapposta la narrazione del Nimby – acronimo inglese per Not in my backyard (non nel mio giardino). Secondo i fautori di questa posizione, chi dice no al Deposito vorrebbe solo tutelare il proprio cortile di casa, non curandosi dell’interesse comune e dei benefici che la sua costruzione porterebbe al progresso.
È proprio guardando alla nostra terra, e alla sua salvaguardia, che il fronte del no al Deposito si è costituito. Basta leggere i criteri indicati dalla stessa Sogin, la società di Stato che si occupa dello smaltimento dei rifiuti radioattivi e che sta progettando il Deposito, per capire subito che nessuna delle aree indicate in Sicilia è il luogo ideale per ospitare una struttura simile.
Secondo la società, un luogo idoneo a ospitare il Deposito Nazionale deve essere poco abitato, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni, sito non a quote troppo elevate o nei pressi di pendenze eccessive, non troppo vicino al mare, ad autostrade e ferrovie, ma neanche troppo lontano per facilitare le operazioni di traporto. Inoltre, il deposito non dovrà essere costruito in aree in cui insistono produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico.
Nessuna delle aree individuate in Sicilia rispetta questi criteri. Petralia Sottana e Castellana Sicula non solo sono territori ad alto rischio sismico, ma si trovano anche a pochi chilometri dal Parco regionale delle Madonie, una riserva naturalistica che vanta ben il 50% delle specie della flora isolana.
Anche Calatafimi-Segesta è un’area in zona 2 per rischio sismico. La più pericolosa – la zona 1 – non è molto lontana dal Comune e comprende tutta la Valle del Belice. In queste aree si produce uva per ben quattro vini Dop e Igp, cereali e olive e la maggior parte degli agricoltori coltiva biologico.
Il Comune di Trapani presenta notevoli criticità: è una zona sismica, presenta una buona densità abitativa, si trova a pochi chilometri sia dall’autostrada che da alcuni siti appartenenti alla Rete di Natura 2000 (il Bosco di Scorace e Montagna Grande) e contiene le zone di produzione dell’Erice DOC.
Butera invece è un territorio a grande vocazione agricola. Tra l’altro, le zone di Butera e il litorale tra Licata e Gela sono già sotto attacco per effetto dei progetti di trivellazione e vivono da decenni una situazione di rilevante criticità ambientale per via della presenza del polo petrolchimico.
Ai problemi specifici delle singole aree si aggiunge il problema generale dell’essere isola. Il trasporto delle scorie radioattive è già di per sé un processo delicatissimo e ad alto rischio, ma nel caso della Sicilia questo dovrebbe chiaramente avvenire via mare, causando una ulteriore complicazione in termini logistici.
C’è poi da aggiungere un ulteriore punto: la grande maggioranza dei rifiuti radioattivi presenti in Italia derivano da impianti nucleari e industriali – operanti o in dismissione – che si trovano nel Nord Italia, prevalentemente in Piemonte. La Sicilia conta solo un piccolo reattore utilizzato nel campo della ricerca presso l’Università di Palermo.
Costruire il Deposito in Sicilia non è quindi solo un progetto pericoloso ma anche logisticamente complesso e sconveniente, data la lontananza dai punti di produzione e di deposito e gli elevati costi di trasporto che si verrebbero a creare.
… né altrove!
A prescindere da dove verrà costruito il Deposito Nazionale, è la logica che sta alla radice del progetto che ci pare criticabile: il voler continuare a proporre il modello delle grandi opere, dannose e devastanti per i luoghi che le ospitano.
Costruire un unico grande Deposito in nome dell’”interesse nazionale” significherebbe costringere un’unica area a sobbarcarsi i rischi di vedere stoccati nel proprio sottosuolo 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi – tra alta, media e bassa intensità.
È certo che mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi presenti in Italia è una necessità impellente per via delle pessime condizioni in cui questi sono stoccati al momento. Ma costruire diversi piccoli centri di stoccaggio dei rifiuti, che possano contenere gli scarti radioattivi prodotti nelle aree in prossimità, sarebbe già una scelta più ponderata.
I rifiuti a media e alta attività attualmente stoccati in vari depositi provvisori andrebbero messi in sicurezza nei luoghi in cui si trovano al momento: questo permetterebbe di eliminare i rischi del trasporto, oltre che evitare di condannare un’area ad essere la pattumiera dei rifiuti radioattivi di tutto il paese.
Ma c’è di più. Perché il Deposito è stato progettato per contenere i rifiuti prodotti finora in Italia e quelli che saranno prodotti dallo smantellamento delle installazioni nucleari, dalla medicina, dall’industria e dalla ricerca nei prossimi 50 anni. Ma una volta “pieno” si dovrà cercare un nuovo territorio per ospitare i rifiuti prodotti in futuro.
I rifiuti ad alta attività saranno invece stoccati temporaneamente all’interno del Deposito Nazionale, in attesa della costruzione di un deposito geologico. L’alta radioattività di questi rifiuti fa infatti sì che la loro carica radioattiva non si neutralizzi nell’arco di qualche centinaio di anni, ma di svariate migliaia. È dunque necessario stoccarli a centinaia di chilometri sottoterra affinché il deposito sia effettivamente “sicuro”.
Non ci sono specifiche su quando e dove questo deposito sarà costruito né sui tempi in cui i rifiuti permarranno nell’area del Deposito Nazionale. Il trasporto delle scorie ad alta attività fino al nuovo sito e il loro collocamento richiederebbe di per sé svariati anni e costi elevati, mentre i territori che attualmente li ospitano sono stati già devastati dal danno ambientale causato dal cattivo stoccaggio.
Data la grandezza del progetto, anche i suoi costi poi saranno elevati. Il costo preventivo del Deposito Nazionale e dell’annesso Parco tecnologico si aggira intorno ai 900 milioni di euro. Una stima completa tra infrastrutture e correlati si attesterebbe attorno a 1,5 miliardi di euro.
In realtà, i costi per la realizzazione dell’opera non tengono conto né di quelli necessari per la bonifica dei territori in cui i rifiuti si trovano attualmente stoccati, né dei costi di trasporto dei rifiuti stessi, né della messa in sicurezza dell’area idonea a ospitare il Deposito. Questo implica un ulteriore aumento, non di poco conto, del costo preventivo.
La realizzazione della grande opera verrà finanziata in parte dalla componente tariffaria «A2RIM» (ex componente A2) della bolletta elettrica, determinata trimestralmente, dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Ad oggi la tariffa copre solo i costi dello smantellamento degli impianti nucleari.
Inoltre, la parte di investimento relativa ai rifiuti medicali, industriali e di ricerca dovrà essere anticipata e poi restituita all’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI) attraverso i ricavi generati dall’esercizio del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico.
Si tratta di una gran quantità di denaro impiegata per la costruzione di un singolo deposito nazionale. Soldi che potrebbero essere indirizzati alla realizzazione di opere di bonifica dei territori inquinati dalla presenza delle scorie nucleari e per la messa in sicurezza dei depositi attualmente esistenti e, soprattutto, per costruire tanti piccoli depositi calibrati sulla produzione di rifiuti nucleari in ogni territorio. In questo modo l’impatto potrà essere minimo e i costi di trasporto quasi annullati.
Ci si può fidare della Sogin?
Non è da dimenticare, inoltre, che giusto qualche mese fa la Sogin era stata commissariata proprio rispetto alla procedura per l’identificazione del luogo in cui costruire il Deposito Nazionale per le scorie nucleari.
A più di vent’anni dalla sua creazione, e dopo essere costata finora – a chi paga le bollette – quattro miliardi di euro, la Sogin qualche mese fa è stata commissariata da parte del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Quella di Sogin è una storia di tempo e denaro perso per mettere in sicurezza, senza riuscirci, i rifiuti nucleari italiani. Un compito affidatogli dopo che nel 1987 un referendum popolare aveva deciso l’abbandono dell’energia nucleare.
Nel 1999 la Sogin viene istituita con il compito di smontare le centrali entro il 2019. I costi previsti per l’operazione dovevano ammontare a 3,7 miliardi di euro. Ad oggi, meno di un terzo dei lavori è stato effettuato. La spesa è stata progressivamente aumentata fino ai 7,9 miliardi, mentre i lavori non hanno ancora sfiorato alcun reattore. Dei 4 miliardi finora pagati dai cittadini, più della metà sono serviti a coprire gli stipendi del personale e dei dirigenti; auto di alta gamma, benefit e bonus compresi.
L’ultima perquisizione durante le feste del Natale 2021 ha messo nel mirino i manager che si occupano del deposito nazionale dei rifiuti nucleari. Proprio la procedura per l’identificazione del luogo in cui costruire il deposito nazionale per le scorie nucleari sarebbe risultata sospetta, facendo scattare le perquisizioni della Guardia di finanza nella sede dell’azienda.
Alla lunga lista delle ragioni contro il progetto, si aggiunge che un progetto già di per sé estremamente pericoloso dovrebbe essere gestito da una società che, negli anni, non ha fatto altro che mangiarsi i soldi dei contribuenti. Affidereste mai la vostra vita a questi signori?
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