Gli indipendentisti in Nuova Caledonia, dopo la decisione della Francia di mantenere il referendum per l’indipendenza, hanno chiesto di boicottare il voto. Il motivo della richiesta di rinvio è molto grave: durante la pandemia, la popolazione indigena è stata decimata; ma questo, per i lealisti e lo Stato francese, sembra essere solamente un vantaggio.
La richiesta di rinvio: proclamato il lutto per un anno
Il 12 dicembre si terrà il terzo e ultimo referendum stabilito dagli accordi di Noumea, concordati nel 1998 tra le autorità francesi, le organizzazioni unioniste e indipendentiste della Nuova Caledonia per concedere maggiore decisionalità all’isola. Ma la data della consultazione non vede l’approvazione di tutte le parti: se gli indipendentisti sostengono la necessità di rinviare il voto, i lealisti sono contrari a qualsiasi rinvio e favorevoli alla permanenza nello Stato francese.
L’appello degli indipendentisti è quello di non partecipare alle votazioni. Questo perché la pandemia ha modificato radicalmente la situazione dell’isola. Da settembre ci sono stati 276 morti, di cui l’80% sono kanak, la popolazione originaria delle isole. Il trauma per gli abitanti ha fatto sì che nelle isole si decretasse il lutto per un anno. Per questo motivo, è stato richiesto il rinvio di un anno della consultazione, in quanto il terzo referendum è anche l’ultimo permesso dal trattato. La priorità dei partiti indipendentisti è quella di portare a termine le cerimonie per i defunti e ritengono dunque impossibile che nel mentre ci sia una campagna al voto regolare.
I lealisti, dal canto loro, vedono nel mantenimento del referendum una vittoria a tavolino, sperando che la fine dei referendum costituisca una resa da parte dei partiti indipendentisti. A detta della leader sindacale Sonia Backès, il ruolo e la popolarità della Francia sono stati rafforzati durante il periodo di crisi sanitaria, tramite l’invio di vaccini e 300 operatori sanitari in più. Eppure, i morti ci sono stati comunque, e non con basse percentuali. Nel frattempo, il Ministro d’Oltremare Sébastien Lecornu ha espresso l’urgenza di voltare pagina e affrontare «le preoccupazioni dei neocaledoniani». Così, per garantire il referendum e prevenire qualsiasi boicottaggio, lo Stato francese ha inviato 2000 poliziotti e soldati in Nuova Caledonia.
La differenza d’approccio alla questione del referendum si sviluppa su due piani opposti: se lo Stato francese e coloro che si oppongono all’indipendenza usano argomenti legali, i sostenitori di uno Stato indipendente hanno una motivazione sociale e culturale. Sicuramente, l’obbiettivo principale del governo è quello di chiudere la questione entro la campagna presidenziale francese, che si terrà ad aprile 2022.
Un post referendum senza referendum?
Sulla carta, dopo la terza consultazione dovrà seguire- a prescindere dall’esito – un periodo di transizione di 18 mesi, che scadrà il 30 giugno 2023. Se vincerà il sì, il periodo sarò proficuo per redigere una costituzione e negoziare i rapporti con lo Stato francese; con la vittoria del no andrà invece definito il nuovo status della Nuova Caledonia all’interno della Repubblica francese. In seguito al rifiuto del rinvio del voto, il comitato indipendentista, oltre a non partecipare al referendum, ha deciso di svincolarsi da ogni impegno sul calendario e sul periodo di transizione. Gli attivisti indipendentisti, infatti, criticano le autorità francesi per aver voluto chiudere la questione ad ogni costo solo per portare avanti i loro interessi e non rispettando i termini degli abitanti.
La decisione delle autorità francesi appare così una vera e propria provocazione politica, che impedisce ogni possibilità di dialogo rispetto al futuro del paese. Charles Washetine, uno dei portavoce del Partito di Liberazione Kanak (Palika), dichiara che «è come una vera e propria dichiarazione di guerra contro il popolo kanak e i cittadini progressisti del paese».
Yann Bevant, docente presso l’Università di Nouméa, ritiene che «il caos sembra difficile da evitare» e parla di una vera e propria «cecità francese» riguardo all’importanza geopolitica dell’isola. La sua analisi riguarda la possibilità di aprire un conflitto armato, che comporterebbe a suo avviso ramificazioni globali: la Cina potrebbe inserirsi attraverso il rifornimento di armi, trovando l’opposizione dei paesi anglosassoni sotto il patto AUKUS – Trattato per la sicurezza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti
La Cina ha infatti acquisito molta influenza in Caledonia negli ultimi tempi. Dal 2006 sta investendo in tutta l’area del pacifico, utilizzando le Figi come portaerei per la propria influenza. Sembra avere preso contatti anche nelle reti indipendentiste, in modo da consolidare la propria strategia. Nelle mire della Cina potrebbe esserci il nichel – minerale presente in tutta l’area, necessario per la produzione di batterie – oltre che la pesca locale.
Una questione non ancora chiusa e una nuova identità da costruire
Con la mancanza di una parte consistente degli elettori, il risultato dovrebbe essere indubbiamente favorevole alla permanenza nello Stato francese. Potrebbe trattarsi quindi anche di un tentativo di smorzare gli ultimi risultati del secondo referendum, che aveva svelato una tendenza a favore dell’indipendenza.
La questione indipendentista sembra essere sentita all’interno dell’isola: la rappresentanza parlamentare presenta una maggioranza indipendentista contro quella anti – separatista. Su 54 membri, il blocco indipendentista ha 29 membri contro i 25 del blocco anti – separatista. L’attuale Presidente del Congresso, Roch Wamytan, è stato anche il Presidente del Fronte di Liberazione Nazionale Kanak, alleanza di partiti politici indipendentisti della Nuova Caledonia fondata nel 1984; i kanachi costituiscono oggi il 44% della popolazione. Le persone europee sono invece il secondo gruppo più numeroso nell’isola, rappresentando un quarto dei 270.000 abitanti, ma troviamo anche la presenza di comunità di origine straniera consistente e diversificata, che rende ancora più difficile definire con esattezza la distribuzione etnica dell’isola.
Nonostante la maggioranza degli europei abbia votato per il no al primo referendum, quasi il 10% ha votato a favore, soprattutto i più giovani nati nell’arcipelago. Ciò prova che anche alcuni discendenti europei percepiscono l’identità neocaledoniana. Uno dei capisaldi dell’Accordo di Noumea era infatti il concetto di “destino comune”, che stabilisca l’esistenza di una cittadinanza unica della Nuova Caledonia.
Già a seguito degli accordi del 1998 il conflitto tra sostenitori e detrattori dell’indipendenza stava per concludersi in guerra civile. Dopo questa data, i risultati si sono evoluti continuamente: nelle cinque elezioni dal 1999, i lealisti erano partiti con una maggioranza che nel tempo è nettamente diminuita, lasciando posto agli indipendentisti. A questo punto, dopo il 12 dicembre, il patto potrebbe di fatto esplodere.
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