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  • Le cinque giornate di Messina: il coraggio della città dello Stretto nella resistenza siciliana

    Le cinque giornate di Messina: il coraggio della città dello Stretto nella resistenza siciliana

    Dal 3 al 7 settembre 1848 Messina fu il centro dell’epocale scontro tra i rivoluzionari siciliani in lotta per l’indipendenza e l’esercito napoletano inviato per restaurare il dominio borbonico sull’isola ribelle. Passati alla storia con l’appellativo di “cinque giornate di Messina”, gli eventi d’inizio settembre 1848 costituirono una delle pagine più drammatiche e coraggiose della grande Rivoluzione Siciliana.

    Non di poco conto per gli esiti della sollevazione medesima, ad affievolire le speranze di libertà dei siciliani sarà proprio la sconfitta dei patrioti messinesi sotto la potenza di fuoco delle armate borboniche. Sconfitti gli insorti a Messina, infatti, i destini della rivoluzione (e con essa dell’indipendenza) appariranno di lì a poco irrimediabilmente segnati.

    Ancora nel 2022, ricordare e celebrare il sacrificio dei messinesi ribelli – con alla testa i cosiddetti “Camiciotti” – è essenziale per riprendere idealmente il testimone di quella battaglia e ridestare nei siciliani di oggi la fierezza per l’anelito di libertà di chi li ha preceduti.

    La rivoluzione del 1848

    Scoppiata a Palermo il 12 gennaio 1848 e ben presto allargatasi a tutta l’isola, la Rivoluzione Siciliana fu la prima sollevazione popolare avvenuta in Europa nel corso dell’ondata rivoluzionaria della “Primavera dei Popoli”. Figlia delle istanze indipendentiste forti in Sicilia già dal 1816, la rivoluzione si innestò anche nel contesto sociale di mutamento crescente in Europa, con l’emersione del conflitto tra classi e la nascita del socialismo moderno.

    In Sicilia la rivoluzione aveva in pochi mesi spazzato via il dominio borbonico, vissuto come una vera e propria oppressione politica dal 1816. Da quando cioè, attraverso una tendenziosa interpretazione degli accordi stipulati a Vienna dopo la sconfitta di Bonaparte, il sovrano Ferdinando III di Sicilia – rientrato in possesso di Napoli – decise di annettere l’isola ai suoi possedimenti continentali, privando la Sicilia della propria indipendenza e dei propri diritti politici di Nazione. Ad un primo tentativo rivoluzionario soffocato nel sangue nel 1820, ne seguirà un altro nel 1837, complice l’epidemia di colera, anch’esso represso senza concessioni.

    Supportata da uno schieramento sociale assai ampio e frastagliato, che andava dalle fazioni più liberali e intellettuali della nobiltà ai ceti popolari ormai prossimi a divenire i grandi protagonisti dei sommovimenti della storia, la Rivoluzione Siciliana del 1848 avrà il merito di restituire alla Sicilia l’indipendenza tanto agognata, sebbene solo temporaneamente. Dopo le “cinque giornate di Messina”, infatti, complice anche l’assenza di concreti ed adeguati supporti internazionali, le armate borboniche riconquisteranno progressivamente il territorio siciliano, arrivando alla presa di Palermo il 15 maggio 1849, ufficialmente l’ultimo giorno di vita della Sicilia indipendente.

    La natura eminentemente indipendentista della Rivoluzione del 1848 emerge con tutta la sua forza già solo soffermandosi sull’art. 2 della nuova Costituzione, che recita: «La Sicilia sarà sempre stato indipendente». Malgrado ciò – travisando la genuina apertura al confederalismo ed alla cooperazione tra stati italiani manifestata da molti rivoluzionari siciliani – la storiografia risorgimentale ha snaturato il significato di questa grande pagina di storia siciliana, assorbendola nella narrazione nazionalista del Risorgimento italiano, senza tener conto delle istanze di libertà e indipendenza isolane che la animarono.

    Le cinque giornate e i Camiciotti

    Le cinque giornate costituirono il fulcro dello scontro militare tra gli insorti siciliani e le truppe al soldo dei Borbone, nonché la pagina finale del tremendo assedio di Messina. Come ai tempi del Vespro del 1282, una rivoluzione scoppiata a Palermo trovava proprio a Messina – Clavis Siciliæ – lo scenario dello scontro più feroce e decisivo. Furono giornate di sanguinosi combattimenti casa per casa e di bombardamenti terribili, destinati a segnare profondamente l’immaginario dei messinesi negli anni seguenti.

    Determinato a riconquistare il controllo della città dello Stretto e da lì procedere alla penetrazione verso il resto della Sicilia, nel corso delle “cinque giornate” l’esercito borbonico schiererà circa 25.000 uomini al comando del generale Carlo Falingieri di Satriano. Costui non si farà scrupoli di ordinare i tremendi bombardamenti della città che varranno a Ferdinando II l’appellativo di “Re bomba”. Bombardamenti nel corso dei quali – dal 3 al 7 settembre – verranno distrutte anche strutture di rilievo sociale come ospizi, ospedali ed edifici religiosi.
    A fronteggiare l’assedio borbonico saranno in totale 6.000 tra militari e volontari: un’inferiorità numerica che alla lunga sarà determinante per l’esito dello scontro.

    L’apice della resistenza messinese e siciliana sarà rappresentato dal sacrificio dei “Camiciotti”, ossia i circa 1.000 volontari – per lo più giovanissimi – asserragliati nel Monastero della Maddalena nel corso dei combattimenti più cruenti contro l’invasore. Il 7 settembre – ultimo atto delle tremende giornate messinesi – alla resa al nemico i Camiciotti preferiranno la morte, gettandosi nel pozzo del monastero (poi distrutto) pur di non consegnarsi ai borbonici.

    Il loro sacrificio, unito alle epiche imprese di altri messinesi come la guerrigliera Rosa Donato, è la più grande testimonianza della fedeltà di Messina alla libertà siciliana, già dimostrata tanti secoli prima, durante l’altra grande insurrezione che ridestò la nostra isola e sconvolse gli equilibri d’Europa: il Vespro.


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